Poi, quando il messaggio dall'altro arriva (ha ceduto), la reazione sarà la seguente: tzè, mi ha scritto, non si merita nulla, continuerò a mantenere il punto. Forte della "caduta" dell'altro, l'uno si mette sul piedistallo (oggi tocca a lui, altre volte no) e si fa cercare per quella nota regola dell'uomo di strada che recita in amor vince chi fugge, la quale, per carità, è vera in certi termini, ma in una trattazione più matura andrebbe sostituita con in amor vince chi resta. Fuggire non è amore, se si corre via è segno che qualcosa non va, che è in corso un battibecco, che ci sono dei chiarimenti che devono essere affrontati attentamente dalle due parti. Che è inutile iniziare il giochino della pausa orgogliosa, giorni e giorni senza sentirsi e poi un "che fai" e la risposta "ho da fare" quasi netta, seguita dall'inutile e incongruente "ho atteso un tuo messaggio, potevi scrivere prima, ormai ho da fare".
Prima peraltro tutto ciò era più dolce, quasi valeva la pena: sino ad una ventina di anni fa si aspettavano fiori, un invito a cena, delle scuse (pure non sentite ma) plateali e, perché no, la telefonata, un "drinn drinn" sonoro, ma nulla che potesse equipararsi a quel dilaniante senso di fine che si prova nell'attesa di un messaggio whatsapp. È utile? È intelligente? È maturo? Non se ne scappa, a qualunque età e a qualunque quoziente di intelligenza arriverà il momento in cui si aspetterà il messaggio dell'altro e non gli si scriverà manco morti, non importa quante lauree si siano prese. Subito dopo il bip bip, una volta giunto il fatidico "che fai?", tanto atteso, sognato, reclamato, pregato a Dio, subito eccolo, inizia a salire il piedistallo, dieci, venti centimetri, fino a un metro, per ricreare quel pulpito da dove si predicherà "sei sparito" e si fingerà che le stesse dinamiche non fossero presenti da entrambe le parti e che i piedistalli non fossero due.
In una coppia che è in crisi questo può accadere talmente tante volte da non avere quasi più un senso. Non arrivano inviti a cena o fiori, come ai bei tempi, ma sempre, ineluttabilmente, quegli anaffettivi messaggini che servono a recuperare il possesso in un braccio di ferro che si vince solo a metà. Tale routinaria litigiosità seguita da spazientimento e giorni dolorosi retti da una inutile attesa non sono che il frutto della scarsa comunicazione e comprensione dei due partner che continuano a perpetrare penosi trabocchetti a se stessi, come se quotidianamente avessero bisogno di conferme per le proprie insicurezze. Se uno dei due, poi, decide di interrompere questa catena per riflessione matura ("amore, ci sei?"), i risultati si avranno fino al prossimo battibecco e tanta maturità finirà addirittura per guastare, se non si è affrontato, ancora una volta, il dolente argomento. Questi mezzucci, in realtà, non sono altro che un modo per comunicare tra i due; comunicare che (sono arrabbiati ma) senza l'altro non sanno proprio stare. Ma il primo passo io non lo faccio.
Romina Ciuffa, 5 maggio 2025
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