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MUTATIS MUTANDIS
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È assolutamente possibile svegliarsi un giorno e non amare più. Ciò non è avvenuto nel sonno, sono giorni, mesi, anni che si cova. È come la fame, si crede quasi non si mangerà mai più perché non si ha fame e si è mangiato troppo, ci si sente pieni, troppo pieni, non si pensa al cibo perché lo si è avuto e nemmeno costituisce una preoccupazione e poi, improvvisamente, eccola, la fame. E tanta pure. Ma se fino a poco prima ci si pensava eterni, immortali e magri, e al supermercato con orgoglio si saltavano tutti i banconi del cibo, come si fa, solo pochi minuti dopo, ad essere morsi dalla fame? Così è la fine dell'amore. Si aveva la pancia piena, l'amore c'era, si guardavano solo banconi con altra merce, non ci si interessava all'argomento e poi eccola, improvvisamente, la fame. Eccola, improvvisamente, la fine dell'amore.
Bisognerà fidarsi di un sentimento tanto impulsivo? Ed anche, è la fine dell'amore un sentimento o è l'assenza di sentimento?
La fine dell'amore è un sentimento, a volte anche più preponderante della sua presenza perché anziché far cessare, insieme all'amore, anche tutte le altre funzioni correlate, le tiene attive ed esse logorano chi le detiene. La parte cognitiva, prima di tutto: la fine dell'amore significa non amare, e significa anche non amare più una data persona con la quale si era creato un costrutto complesso di informazioni presenti ed aspettative per il futuro; dunque, quando ci si sveglia ad amore finito tutto ciò che si ha intorno non ha più senso, le piccole e le grandi cose, il telefono, la casa, la famiglia dell'altro, la vita. Tutto ciò che fino al risveglio era intorno alla coppia e definiva l'altro e, con lui, la propria vita quotidiana (orari, amici, conversazioni, abitudini) non ci sarà più, questa è la prima perdita. Può, cognitivamente, eliminarsi la figura dell'altro dalla propria vita, immaginando si usi una gomma da cancellare per rimuoverlo da tutto, ma cosa ci sarà a tappare quei buchi che lui, la sua famiglia, le sue chiamate, le sue fissazioni, i suoi amici, le cose che lo riguardavano erano lì per tappare?
Poi c'è la parte emotiva, che viene a mancare: resta presente come tormento ma diviene assente per la fine dell'emozione amore. Si soffre per l'assenza del costrutto cognitivo: il pensiero continuerà ad attivare i processi neurali abitudinari ma si troverà carente del frammento finale, quello dell'esistenza. Il costrutto cognitivo ha invaso, nel tempo, nevrosi, discussioni, cibo, noia, costrizioni, tutte sicurezze di cui l'essere umano ha tremendamente bisogno e che ora saranno mancanti, con il risultato di rendere il processo neurale attivato monco.
C'è la parte emotiva dell'essere solo: non amare più significa essere intimamente soli e solitari, trovarsi ovunque con chiunque ma sempre con nessuno, intrinseca solitudine inaccettabile, a primo avviso, da colui che è abituato ad avere un oggetto da amare che costituisce compagnia perenne anche nell'assenza.
C'è la parte psicologica, che investe il deludere se stesso per essersi disatteso e il dissociarsi da ciò che fino alla notte si era visto per sé, una persona fatta di due, una identificazione ben marcata della coppia e di quella coppia, il dover scindere il proprio sé dal sé altrui e cancellare quest'ultimo per riprenderne il possesso. Come abituarsi all'idea che quella persona non dipingerà più, con i suoi colori, il proprio letto, la casa, il mare? Non la questione cognitiva del comprendere di essere soli né quella emotiva del non essere con nessuno, bensì la questione assolutamente psicologica, quando non psicotica, della derealizzazione e depersonalizzazione di tutte le emozioni correlate a quello specifico altro, il proprio altro, l'essere in possesso di qualcuno e improvvisamente attendere di vedersi, d'ora in poi, in possesso di nessuno né in possesso di quel qualcuno, il senso di alienazione dalla realtà e da se stessi quando, in tutte le ore successive da quelle del risveglio, non ci si identificherà più con quella persona, ogni giorno successivo risvegliarsi e rivivere di nuovo il trauma del non c'è più non trovandolo, sapere di non essere più dall'altro posseduti per il sol fatto di non amarlo più quand'anche l'altro continui ad amare, non dipendere più da nessuno né da quella persona, dover fare i conti con la re-cognitivizzazione del tutto e di se stessi, sentirsi strani, preferire il sonno, sperimentare incredulità, ricercare ottundimento per non provare. Un processo inarrestabile, ineluttabile, che fa più male che l'amare stesso.
Per questo, quando improvvisamente, proprio come la fame, ci si sveglia e, di botto, si sente la fine dell'amore, è bene fare una cosa: girarsi dall'altra parte e dormirci un altro po' sopra, poi svegliarsi, fare colazione, e per qualche anno fare finta di niente.
Romina Ciuffa, 6 maggio 2025
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Poi, quando il messaggio dall'altro arriva (ha ceduto), la reazione sarà la seguente: tzè, mi ha scritto, non si merita nulla, continuerò a mantenere il punto. Forte della "caduta" dell'altro, l'uno si mette sul piedistallo (oggi tocca a lui, altre volte no) e si fa cercare per quella nota regola dell'uomo di strada che recita in amor vince chi fugge, la quale, per carità, è vera in certi termini, ma in una trattazione più matura andrebbe sostituita con in amor vince chi resta. Fuggire non è amore, se si corre via è segno che qualcosa non va, che è in corso un battibecco, che ci sono dei chiarimenti che devono essere affrontati attentamente dalle due parti. Che è inutile iniziare il giochino della pausa orgogliosa, giorni e giorni senza sentirsi e poi un "che fai" e la risposta "ho da fare" quasi netta, seguita dall'inutile e incongruente "ho atteso un tuo messaggio, potevi scrivere prima, ormai ho da fare".
Prima peraltro tutto ciò era più dolce, quasi valeva la pena: sino ad una ventina di anni fa si aspettavano fiori, un invito a cena, delle scuse (pure non sentite ma) plateali e, perché no, la telefonata, un "drinn drinn" sonoro, ma nulla che potesse equipararsi a quel dilaniante senso di fine che si prova nell'attesa di un messaggio whatsapp. È utile? È intelligente? È maturo? Non se ne scappa, a qualunque età e a qualunque quoziente di intelligenza arriverà il momento in cui si aspetterà il messaggio dell'altro e non gli si scriverà manco morti, non importa quante lauree si siano prese. Subito dopo il bip bip, una volta giunto il fatidico "che fai?", tanto atteso, sognato, reclamato, pregato a Dio, subito eccolo, inizia a salire il piedistallo, dieci, venti centimetri, fino a un metro, per ricreare quel pulpito da dove si predicherà "sei sparito" e si fingerà che le stesse dinamiche non fossero presenti da entrambe le parti e che i piedistalli non fossero due.
In una coppia che è in crisi questo può accadere talmente tante volte da non avere quasi più un senso. Non arrivano inviti a cena o fiori, come ai bei tempi, ma sempre, ineluttabilmente, quegli anaffettivi messaggini che servono a recuperare il possesso in un braccio di ferro che si vince solo a metà. Tale routinaria litigiosità seguita da spazientimento e giorni dolorosi retti da una inutile attesa non sono che il frutto della scarsa comunicazione e comprensione dei due partner che continuano a perpetrare penosi trabocchetti a se stessi, come se quotidianamente avessero bisogno di conferme per le proprie insicurezze. Se uno dei due, poi, decide di interrompere questa catena per riflessione matura ("amore, ci sei?"), i risultati si avranno fino al prossimo battibecco e tanta maturità finirà addirittura per guastare, se non si è affrontato, ancora una volta, il dolente argomento. Questi mezzucci, in realtà, non sono altro che un modo per comunicare tra i due; comunicare che (sono arrabbiati ma) senza l'altro non sanno proprio stare. Ma il primo passo io non lo faccio.
Romina Ciuffa, 5 maggio 2025
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Il punto è che la coppia andrebbe educata, quasi costretta, a non dormire, a espletare attività sessuale anche solo mera, senza troppo coinvolgimento, almeno una volta a settimana, quasi come alcuni vanno a Messa la domenica o il giovedì cucinano gnocchi. Dev'essere questa un'attività che non manca mai, tale da non rendere il rapporto di coppia un rapporto fraterno: infatti, dopo che si è verificata quella de-classificazione, sarà molto difficile tornare indietro e riportare la coppia sessuale in auge. Ciò porterà ulteriori complicazioni, la prima delle quali il rischio di uno o molti tradimenti, solitamente da parte di uno solo dei due partner (tali equilibri sono quasi sempre tarati da un lato solo) che a loro volta condurranno a nuovi problemi, tanto da rendere il "rapporto fraterno" solo un lontano ricordo di ciò che era il problema della coppia: infatti, ora e in tale modo, la coppia si sfalda e, sfaldata, non è ricomponibile. Sarà molto difficile, a questo punto, evitare la rottura e, se essa non sopravviene, il dolore attivo o quello passivo dell'indifferenza.
La coppia non è un transformer, è molto difficile che si possa rompere in mille pezzi e ritrasformare in qualcosa di altrettanto valido. E l'amore fraterno è difficile da spezzare in mille pezzettini per ricomporlo in amore sessuale. Quando poi il sesso è trovato altrove, tanto vale lasciarsi. E perché non ci si lascia? Per amore forse?
Non per amore. L'amore è finito non appena è mancato il rispetto. Si resta insieme per abitudine, paura di rimanere soli, indisponibilità ad aprire la mente, indifferenza, noia, menefreghismo. Tutto, fuorché amore. Certo che l'amore è anche l'affetto che si prova dopo tanti anni in una coppia, ma non cadiamo nella trappola di definire quell'affetto ancora "amore": quello è un amore diverso. Giustappunto, amore fraterno.
Per questo, per non precipitare negli abissi del nulla, del "ti ricordi quando ci siamo conosciuti?", dell'"io vado a dormire", dello zapping tra i canali tv e le storie parallele, è assolutamente necessario imporsi di fare del sesso. Non sarà forse speciale come un tempo, sarà una minestra riscaldata, ma consentirà alla coppia di percepirsi ancora come coppia attraverso la violazione dell'intimità dell'altro che sta divenendo sempre più castrante, e soprattutto un'intimità totalmente sua e non più condivisa. Ricorrere a una sessuologa è un'idea brillante. Si faccia l'amore a casa, il tradimento è per dilettanti. La sera, minimo 20 gocce di sesso prima di andare a dormire, almeno una volta a settimana o al dì; aggiungere fino a 300 al bisogno.
Romina Ciuffa, 4 maggio 2025
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Non è allora meglio l'amore per le bestie? Per alcuni, ahimè sì. Quello, in effetti, non passa mai, e l'accudimento sì che non può cessare ad un certo punto della relazione poiché l'animale ne morirebbe e non solo metaforicamente. Non a caso, chi non ha un amore molto spesso sceglie di farsi un cane o un gatto nel mondo occidentale del quale facciamo parte, o altri animali altrove. C'è chi arriva a dedicarsi al cavallo, ma almeno in questo caso si unisce all'accudimento l'hobby. L'amore per i cani è ormai giunto a livelli esagerati con l'acquisto di cappottini e addirittura scarpe e con un attaccamento morboso che rasenta antigienici e inaccettabili comportamenti di tattilità che spesso non si hanno nemmeno con il proprio partner. Agli animali domestici si lascia fare tutto, interamente predominare sulla persona e sulla casa, escono fuori i peli ovunque e cattivi odori ma "l'innamorato" non prova fastidio, anzi, è con essi perfettamente integrato ad onta di ciò che gli altri pensano di lui, quando impone la presenza dell'animale e tutto ciò che egli è, vuole, decide, fa. Ciò non accade con il compagno di una vita del quale, ad un certo punto, si perdono le tracce tattili e ci si limita a una convivenza spesso anche litigiosa dove si vuole sempre avere ragione, diversamente che con il cane, che ha sempre ragione perché è tanto tenero.
Tutto questo è ai limiti del ridicolo, eppure è una "piaga" piuttosto rilevante: preferire l'animale al partner, dargli più attenzioni, baciarlo in bocca senza ricollegare tale azione alle malattie e del tutto sostituirlo al primo. La gattara è quella figura di una certa età (solitamente dai sessanta in su, ormai anche in giù) che raccoglie per strada decine di gatti e li sublima per avere da loro, da tanti di loro, da tantissimi di loro l'amore che si vuole e dare l'incontenibile amore che ha e che non sa dove riversare perché sola, perché problematica, perché gattara (esserlo, spesso, è capo e coda dello stesso problema di solitudine). Idem fa il "canaro" che gira con quattro, cinque, otto cani al guinzaglio e li chiama per nome uno per uno o li impone a cena, nel locale, nelle visite agli altri. Come si può, a queste persone, richiedere un livello di pulizia del corpo e della casa, nonché della loro automobile (sulla quale "non salire" è il consiglio)? Anche volendo, come potrebbero garantire i requisiti minimi di igiene? È davvero possibile sostituire l'amore per una persona con l'amore per un cane? Dare a quest'ultimo molto di più che alla persona che si ha accanto? O del tutto procedere a sublimazione come meccanismo di difesa di chi è ancora solo nella vita o è divenuto solo?
È davvero giusto non dare al proprio partner per tutta la vita o per un giorno solo lo stesso livello di accudimento di un cane, o farlo per sempre come si usa fare col cane finché non muore (e si entra in un vero e proprio lutto)? Come si può andare in giro pieni di peli bianchi in un'auto puzzolente e poi urlare contro la persona amata perché non si trova una maglietta senza darle nemmeno un bacio con la lingua (né incorrerendo nel rischio malattie)? Chiudo qui, o mi innervosisco.
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Ci sono anime totalmente incompatibili che si incontrano per scontrarsi e che poi, una volta accortesi di essere tanto diverse, non vogliono rinunciare l'una all'altra e preferiscono soffrire in eterno, in un girone dantesco. Sono consapevoli del male che si fanno e, a volte, pur provando non riescono a non farsene, eppure vogliono stare insieme. Finiscono, così, per perpetrare sull'altro e su se stesse ogni tipo di dolore e non riescono ad uscire dal girone che è stato loro attribuito: quello degli amori cattivi.
In realtà, quelle anime non avrebbero voluto essere cattive. Loro vogliono solo essere se stesse. Ma l'essere se stesse comporta, puntualmente, la lesione dell'altra, una discussione, poi la reazione e la lesione dell'una ad opera della seconda in un circuito vizioso che, nel corso dei giorno, dei mesi, degli anni, logorerà entrambe. Le due anime non potranno stare lontane sebbene una volta ogni tanto si lasceranno, si distaccheranno, taglieranno i contatti, si dispereranno nel sentire quel vuoto minacciare altissime sofferenze, per poi ricominciare tutto daccapo qualche tempo dopo."Daccapo", però, non è la parola giusta: essa, infatti, significherebbe tornare all'amore passionale e alle finezze dei primi giorni. Queste due, invece, si riprenderanno con una paura fottuta che, come in ogni circolo vizioso, tornerà a spaventarle. Si sarà tranquilli per una manciata di giorni, ma non sereni perché ormai è certo: si ricomincerà a disturbarsi, dunque il rapporto sarà vissuto in un grande chi-va-là che non lascerà molto spazio all'amarsi.
Ci sono persone in coppia talmente sole che se si unissero formerebbero due persone sole. Queste sono le vittime dell'amore cattivo, quell'amore che non è necessariamente violento ma che si nutre delle cattiverie cieche delle due, insegna loro a farne, annulla l'amor proprio in ragione di un masochistico bisogno di amore. Si può misurare l'amore nell'amore cattivo? Certo, e si dirà di più: le vittime dell'amore cattivo si amano anche di più, perché accettano tutta la cattiveria pur di stare insieme. Dunque l'amore è misurabile quantitativamente, meno lo è qualitativamente salvo considerare l'amore cattivo un tipo di amore.
Si alza l'opposizione di chi risponde: se è amore, non può essere cattivo, l'amore è un grande e intenso voler bene e volere il bene dell'altro. Ne siamo sicuri? È certo che nel mondo si intenda amore come il bene per l'altro? Non sarà che l'amore è, innanzitutto, un'azione fatta per se stessi? Un'azione intrinsecamente egoistica, solo dopo la quale fuoriesce anche la componente altruistica in cui si considera anche l'altro. Nel primo momento dell'amore, si vuole amare perché si è portati a farlo, perché è bello, perché fa bene, perché è un sentimento darwinianamente utile che consente la riproduzione della specie, perché non si vuole restare soli, perché si vuole sesso sicuro, perché è più comodo per fare dei figli. Tutto questo, che non è nulla di altruistico: mai si amerà perché l'altro ha bisogno di quell'amore, perché l'altro non si senta solo, perché l'altro vuole dei figli, perché per l'altro l'amore è bello - peraltro, anche il secondo manifesterà la stessa componente egoistica e non amerà mai perché quell'altro vuole essere amato. Gli amori non corrisposti, altrimenti, non esisterebbero.
Suvvia, una buona dose di occhi aperti e testa sgombera per dire: anche l'amore cattivo è amore, anzi, è un amore anche più grande perché non porta con sé la componente egoistica ma solo le falle dell'animo, quelle che devono essere ricoperte con le parolacce dell'altro per sentirsi, finalmente, capiti.
Romina Ciuffa, 1 maggio 2025
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