mercoledì 7 maggio 2025

DOVE C'È ATTACCAMENTO C'È ATTACCO

 




DOVE C'È ATTACCAMENTO C'È ATTACCO. Il partner attacca sempre, qualunque cosa si dica è una polemica, un'aggressione, tutto scade in una paura che non va più via. Questo attacco solo a volte è consapevole, arriva da una parte di odio ma principalmente dall'attaccamento, un attaccamento ambivalente che è proprio della coppia con se stessa, che si autogestisce e si autopossiede nonché si autoattacca. Il tono aggressivo si è formato nel corso del tempo via via che le differenze tra i due sono andate emergendo e consolidandosi, nessuno ha fatto nulla per arginarle prima o non si è potuto fare nulla; da un certo punto della relazione in poi, l'attaccamento diviene molesto, si risente dentro di sé, diviene più intrinseco dell'amore e, non potendo più fare a meno dell'altro, passa in attacco. Un continuo attacco che fa solo feriti, vinti o morti, ma il rapporto non si interrompe mai. Perché non chiudono? Perché l'attacco è una delle prime forme di attaccamento, come a scuola quando si dice "ti tratta male perché gli piaci", o quando "chi ti vuol bene ti fa piangere"; più in generale attraverso l'attacco si cattura la preda e la si mangia, la si incorpora, si calma un bisogno (la fame) e se ne colma un altro (il possesso).

Cos'è quell'angoscia che contraddistingue fissamente certe relazioni, che finisce per essere notato anche dagli esterni ed inviso? In che modo superare una giornata che inizia con un senso di dolore misto ad ansia, e con una sottesa rabbia, apparentemente senza motivo? L'amore misto ad angoscia è qualcosa di molto comune, sebbene molti tendano ad occultarlo consciamente o inconsciamente. È un fortunato, non solo un maturo, chi non si associa ad alcun sentimento negativo in amore, chi sa prendere e lasciare, chi sa essere più forte delle provocazioni o dei difetti dell'altro o chi, infine, sa dire basta. Non in pochi, lo sappiano o no, si svegliano con l'angoscia e attendono sera per rimettersi nel letto per obnubilarsi, non perché ci sia l'altro, tenero mostro di dolore che da sempre si è sognato ma che ora, quando si ha, riesce a tirare fuori incubi poiché si incastra con i più grandi vuoti sperimentati o le esigenze ossessive che spavaldamente si presentano.

L'angoscia è, per molti versi e per quanto sia difficile da dire e da credersi, uno dei nostri migliori amici poiché ci indica una via d'uscita da qualcosa che, cognitivamente, non siamo in grado di ritenere sbagliata. Tanti sono i rapporti che si basano su sensi di ansia, di dolore, su ciò che ci si aspetta dal rapporto ma non è, su ciò che il rapporto è. Spesso quest'ultimo non ha nessuna colpa, tutta quell'angoscia è da imputare ad insoddisfazione personale, a conflitti interiori non risolti e, direbbe Freud, ai rapporti con il padre. A volte, aver ucciso il genitore sembrerebbe l'unica soluzione possibile. Eppure restiamo sempre bambini e, come bambini, o vogliamo assolutamente e a tutti i costi essere accuditi, o pretendiamo di stare da soli e di non essere mai controllati, di poter decidere per noi ma, nel contempo, godere di tutti i benefici che si ottengono nella casa di famiglia dalla presenza dei due genitori: in poche parole, siamo tanto infanti bisognosi quanto adolescenti odiosi. Queste due condizioni, anche contemporanee, si riflettono sulle nostre aspettative verso il partner.

Da lui vogliamo che ci accudisca, che si prenda cura di noi, che corra ad ogni nostro minimo urletto, che ci sia secondo i parametri di un attaccamento sicuro; ma pretendiamo anche che non ci affligga, che non sia questuante o domandante, che ci lasci spazio per respirare, secondo i parametri finali di un attaccamento ambivalente. Dov'è c'è attaccamento c'è attacco, e fino ad un certo punto questo attacco è il segno piacevole dell'essere visti - ma così non è. Ci sono delle persone predestinate a stare insieme perché l'incastro è perfetto anche nel male e così, là dove l'uno sta male l'altro fa male, con una complementarità eccellente anche nel negativo; altre, che non sono assolutamente fatte per stare insieme e pretendono di farlo, le stesse che si svegliano con l'angoscia e con essa debbono convivere per anni, perché non riusciranno mai ad abbandonare il rapporto, fa talmente male che quel dolore - abitudinario, costante, galante - serve.

Certe storie si svegliano nella notte per una scossa di terremoto, e pensano angosciate non alla scossa appena sentita, ma a come fare per stare insieme: il terremoto è solo una scusa per svegliarsi a pensare male. Tutti consigliano loro di terminare la relazione, suggeriscono che neanche la terapia di coppia varrà qualcosa, che sarà una perdita di soldi e di forze. Tutti hanno ragione. Questi due si amano? 
Lo vedranno con la psicoterapeuta di coppia.

Romina Ciuffa, 7 maggio 2025

martedì 6 maggio 2025

MI SVEGLIO E DI SOPRASSALTO NON AMO PIÙ

 

MI SVEGLIO E DI SOPRASSALTO NON AMO PIÙ. È possibile svegliarsi un giorno di soprassalto e non amare più? Ieri, solo fino a ieri sera si amava infinitamente non questionando, oggi, da stamattina improvvisamente ci si sente piatti e boom!, il cuore batte solo per le funzioni vitali e accelera per l'ansia, si guarda alla nuova giornata con un senso del dovere e non più del piacere. Ma boom!, non si ama più. 

È assolutamente possibile svegliarsi un giorno e non amare più. Ciò non è avvenuto nel sonno, sono giorni, mesi, anni che si cova. È come la fame, si crede quasi non si mangerà mai più perché non si ha fame e si è mangiato troppo, ci si sente pieni, troppo pieni, non si pensa al cibo perché lo si è avuto e nemmeno costituisce una preoccupazione e poi, improvvisamente, eccola, la fame. E tanta pure. Ma se fino a poco prima ci si pensava eterni, immortali e magri, e al supermercato con orgoglio si saltavano tutti i banconi del cibo, come si fa, solo pochi minuti dopo, ad essere morsi dalla fame? Così è la fine dell'amore. Si aveva la pancia piena, l'amore c'era, si guardavano solo banconi con altra merce, non ci si interessava all'argomento e poi eccola, improvvisamente, la fame. Eccola, improvvisamente, la fine dell'amore.

Bisognerà fidarsi di un sentimento tanto impulsivo? Ed anche, è la fine dell'amore un sentimento o è l'assenza di sentimento?

La fine dell'amore è un sentimento, a volte anche più preponderante della sua presenza perché anziché far cessare, insieme all'amore, anche tutte le altre funzioni correlate, le tiene attive ed esse logorano chi le detiene. La parte cognitiva, prima di tutto: la fine dell'amore significa non amare, e significa anche non amare più una data persona con la quale si era creato un costrutto complesso di informazioni presenti ed aspettative per il futuro; dunque, quando ci si sveglia ad amore finito tutto ciò che si ha intorno non ha più senso, le piccole e le grandi cose, il telefono, la casa, la famiglia dell'altro, la vita. Tutto ciò che fino al risveglio era intorno alla coppia e definiva l'altro e, con lui, la propria vita quotidiana (orari, amici, conversazioni, abitudini) non ci sarà più, questa è la prima perdita. Può, cognitivamente, eliminarsi la figura dell'altro dalla propria vita, immaginando si usi una gomma da cancellare per rimuoverlo da tutto, ma cosa ci sarà a tappare quei buchi che lui, la sua famiglia, le sue chiamate, le sue fissazioni, i suoi amici, le cose che lo riguardavano erano lì per tappare? 

Poi c'è la parte emotiva, che viene a mancare: resta presente come tormento ma diviene assente per la fine dell'emozione amore. Si soffre per l'assenza del costrutto cognitivo: il pensiero continuerà ad attivare i processi neurali abitudinari ma si troverà carente del frammento finale, quello dell'esistenza. Il costrutto cognitivo ha invaso, nel tempo, nevrosi, discussioni, cibo, noia, costrizioni, tutte sicurezze di cui l'essere umano ha tremendamente bisogno e che ora saranno mancanti, con il risultato di rendere il processo neurale attivato monco.

C'è la parte emotiva dell'essere solo: non amare più significa essere intimamente soli e solitari, trovarsi ovunque con chiunque ma sempre con nessuno, intrinseca solitudine inaccettabile, a primo avviso, da colui che è abituato ad avere un oggetto da amare che costituisce compagnia perenne anche nell'assenza.

C'è la parte psicologica, che investe il deludere se stesso per essersi disatteso e il dissociarsi da ciò che fino alla notte si era visto per sé, una persona fatta di due, una identificazione ben marcata della coppia e di quella coppia, il dover scindere il proprio sé dal sé altrui e cancellare quest'ultimo per riprenderne il possesso. Come abituarsi all'idea che quella persona non dipingerà più, con i suoi colori, il proprio letto, la casa, il mare? Non la questione cognitiva del comprendere di essere soli né quella emotiva del non essere con nessuno, bensì la questione assolutamente psicologica, quando non psicotica, della derealizzazione e depersonalizzazione di tutte le emozioni correlate a quello specifico altro, il proprio altro, l'essere in possesso di qualcuno e improvvisamente attendere di vedersi, d'ora in poi, in possesso di nessuno né in possesso di quel qualcuno, il senso di alienazione dalla realtà e da se stessi quando, in tutte le ore successive da quelle del risveglio, non ci si identificherà più con quella persona, ogni giorno successivo risvegliarsi e rivivere di nuovo il trauma del non c'è più non trovandolo, sapere di non essere più dall'altro posseduti per il sol fatto di non amarlo più quand'anche l'altro continui ad amare, non dipendere più da nessuno né da quella persona, dover fare i conti con la re-cognitivizzazione del tutto e di se stessi, sentirsi strani, preferire il sonno, sperimentare incredulità, ricercare ottundimento per non provare. Un processo inarrestabile, ineluttabile, che fa più male che l'amare stesso.

Per questo, quando improvvisamente, proprio come la fame, ci si sveglia e, di botto, si sente la fine dell'amore, è bene fare una cosa: girarsi dall'altra parte e dormirci un altro po' sopra, poi svegliarsi, fare colazione, e per qualche anno fare finta di niente.

Romina Ciuffa, 6 maggio 2025

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lunedì 5 maggio 2025

IL PRIMO PASSO IO NON LO FACCIO

 

 



IL PRIMO PASSO IO NON LO FACCIO. Ci sono quelle settimane, mesi a volte, anche annualità di litigio - che finisce per divenire routine - in cui si fa questo penoso gioco di non chiamarsi e aspettare che sia l'altro a fare la prima mossa, per una, due, tre volte, poi si torna un po' insieme con qualche rancore, e di nuovo litigio e attesa, scrivi tu, io non scrivo, perché non mi hai scritto, sei sparita, amore non ce la faccio più e tante, tantissime frasi tra il serio e il faceto, tra l'amore e l'odio, tra il lasciamoci ed il restiamo insieme, tra l'è finita e il prendiamoci un periodo di riflessione. Nel mio libro Amore mio tu soffri mi sono lungamente trattenuta su questi concetti e, soprattutto, sull'amore in pausa, quello della riflessione. Ma questi giochetti sono ben altro. Si tratta di una necessità, quella dei due, di essere cercati totalmente dettata da insicurezza da una parte, orgoglio dall'altra, meglio detto orgoglio e insicurezza totalmente avvinghiati al punto da non sapere dove finisce l'uno e inizia l'altro, e il tutto prescinde, da un certo punto in poi, da chi abbia ragione se ragione ve n'è. E, ai tempi di oggi, si guarda ossessivamente il cellulare, speranzosi, imbastarditi, abbattuti, supplichevoli.

Poi, quando il messaggio dall'altro arriva (ha ceduto), la reazione sarà la seguente: tzè, mi ha scritto, non si merita nulla, continuerò a mantenere il punto. Forte della "caduta" dell'altro, l'uno si mette sul piedistallo (oggi tocca a lui, altre volte no) e si fa cercare per quella nota regola dell'uomo di strada che recita in amor vince chi fugge, la quale, per carità, è vera in certi termini, ma in una trattazione più matura andrebbe sostituita con in amor vince chi resta. Fuggire non è amore, se si corre via è segno che qualcosa non va, che è in corso un battibecco, che ci sono dei chiarimenti che devono essere affrontati attentamente dalle due parti. Che è inutile iniziare il giochino della pausa orgogliosa, giorni e giorni senza sentirsi e poi un "che fai" e la risposta "ho da fare" quasi netta, seguita dall'inutile e incongruente "ho atteso un tuo messaggio, potevi scrivere prima, ormai ho da fare".

Prima peraltro tutto ciò era più dolce, quasi valeva la pena: sino ad una ventina di anni fa si aspettavano fiori, un invito a cena, delle scuse (pure non sentite ma) plateali e, perché no, la telefonata, un "drinn drinn" sonoro, ma nulla che potesse equipararsi a quel dilaniante senso di fine che si prova nell'attesa di un messaggio whatsapp. È utile? È intelligente? È maturo? Non se ne scappa, a qualunque età e a qualunque quoziente di intelligenza arriverà il momento in cui si aspetterà il messaggio dell'altro e non gli si scriverà manco morti, non importa quante lauree si siano prese. Subito dopo il bip bip, una volta giunto il fatidico "che fai?", tanto atteso, sognato, reclamato, pregato a Dio, subito eccolo, inizia a salire il piedistallo, dieci, venti centimetri, fino a un metro, per ricreare quel pulpito da dove si predicherà "sei sparito" e si fingerà che le stesse dinamiche non fossero presenti da entrambe le parti e che i piedistalli non fossero due. 

In una coppia che è in crisi questo può accadere talmente tante volte da non avere quasi più un senso. Non arrivano inviti a cena o fiori, come ai bei tempi, ma sempre, ineluttabilmente, quegli anaffettivi messaggini che servono a recuperare il possesso in un braccio di ferro che si vince solo a metà. Tale routinaria litigiosità seguita da spazientimento e giorni dolorosi retti da una inutile attesa non sono che il frutto della scarsa comunicazione e comprensione dei due partner che continuano a perpetrare penosi trabocchetti a se stessi, come se quotidianamente avessero bisogno di conferme per le proprie insicurezze. Se uno dei due, poi, decide di interrompere questa catena per riflessione matura ("amore, ci sei?"), i risultati si avranno fino al prossimo battibecco e tanta maturità finirà addirittura per guastare, se non si è affrontato, ancora una volta, il dolente argomento. Questi mezzucci, in realtà, non sono altro che un modo per comunicare tra i due; comunicare che (sono arrabbiati ma) senza l'altro non sanno proprio stare. Ma il primo passo io non lo faccio.

Romina Ciuffa, 5 maggio 2025

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domenica 4 maggio 2025

LA SERA VENTI GOCCE DI SESSO PRIMA DI ANDARE A DORMIRE




LA SERA VENTI GOCCE DI SESSO PRIMA DI ANDARE A DORMIRE. Trascorsi molti anni di coppia o di matrimonio, si sente spesso ripetere: "Ormai la vedo come una sorella", frase più tipicamente maschile che non femminile, sebbene anche la donna non abbia più pulsioni sessuali verso il proprio o la propria partner. Perché, dopo un certo periodo, è quasi "classico" che accada questo, che l'amore venga de-categorizzato a un livello che in questo caso è da considerarsi assai inferiore? In che senso "è come una sorella", se il rapporto è iniziato già, allora, con un incesto? Esistono coppie che, decidendo di rimanere insieme costi quel che costi e perché no, quando l'amore permanga anche, si continuano a dedicare ad attività sessuali all'interno - non all'esterno - del proprio nucleo di elezione?

Il punto è che la coppia andrebbe educata, quasi costretta, a non dormire, a espletare attività sessuale anche solo mera, senza troppo coinvolgimento, almeno una volta a settimana, quasi come alcuni vanno a Messa la domenica o il giovedì cucinano gnocchi. Dev'essere questa un'attività che non manca mai, tale da non rendere il rapporto di coppia un rapporto fraterno: infatti, dopo che si è verificata quella de-classificazione, sarà molto difficile tornare indietro e riportare la coppia sessuale in auge. Ciò porterà ulteriori complicazioni, la prima delle quali il rischio di uno o molti tradimenti, solitamente da parte di uno solo dei due partner (tali equilibri sono quasi sempre tarati da un lato solo) che a loro volta condurranno a nuovi problemi, tanto da rendere il "rapporto fraterno" solo un lontano ricordo di ciò che era il problema della coppia: infatti, ora e in tale modo, la coppia si sfalda e, sfaldata, non è ricomponibile. Sarà molto difficile, a questo punto, evitare la rottura e, se essa non sopravviene, il dolore attivo o quello passivo dell'indifferenza.

La coppia non è un transformer, è molto difficile che si possa rompere in mille pezzi e ritrasformare in qualcosa di altrettanto valido. E l'amore fraterno è difficile da spezzare in mille pezzettini per ricomporlo in amore sessuale. Quando poi il sesso è trovato altrove, tanto vale lasciarsi. E perché non ci si lascia? Per amore forse?

Non per amore. L'amore è finito non appena è mancato il rispetto. Si resta insieme per abitudine, paura di rimanere soli, indisponibilità ad aprire la mente, indifferenza, noia, menefreghismo. Tutto, fuorché amore. Certo che l'amore è anche l'affetto che si prova dopo tanti anni in una coppia, ma non cadiamo nella trappola di definire quell'affetto ancora "amore": quello è un amore diverso. Giustappunto, amore fraterno.

Per questo, per non precipitare negli abissi del nulla, del "ti ricordi quando ci siamo conosciuti?", dell'"io vado a dormire", dello zapping tra i canali tv e le storie parallele, è assolutamente necessario imporsi di fare del sesso. Non sarà forse speciale come un tempo, sarà una minestra riscaldata, ma consentirà alla coppia di percepirsi ancora come coppia attraverso la violazione dell'intimità dell'altro che sta divenendo sempre più castrante, e soprattutto un'intimità totalmente sua e non più condivisa. Ricorrere a una sessuologa è un'idea brillante. Si faccia l'amore a casa, il tradimento è per dilettanti. La sera, minimo 20 gocce di sesso prima di andare a dormire, almeno una volta a settimana o al dì; aggiungere fino a 300 al bisogno.

Romina Ciuffa, 4 maggio 2025

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sabato 3 maggio 2025

TI AMO DA CANI E DA GATTI



TI AMO DA CANI E DA GATTI. L'amore per essere amore è sempre patologico. Non si spiegherebbe altrimenti il perché necessitiamo di legarci ad una persona costi quel che costi quando già c'è un tipo d'amore che potrebbe saziarci: l'amor proprio. È ottimo provare quelle emozioni verso un'altra persona che ti portano a prenderti cura di lei e a volerlo fare per sempre, pure se poi, in effetti, non solo non si fa per sempre ma nemmeno per poco, perché l'amore si guasta. Domandiamoci: perché tutti gli amori si guastano? Perché la prima parte dell'amore è passione, avventatezza, accudimento, eventuale matrimonio, forse figli, e poi la seconda parte è trascorrere l'intera vita a lamentarsi di esso e a trovare modi di ricucirlo?

Non è allora meglio l'amore per le bestie? Per alcuni, ahimè sì. Quello, in effetti, non passa mai, e l'accudimento sì che non può cessare ad un certo punto della relazione poiché l'animale ne morirebbe e non solo metaforicamente. Non a caso, chi non ha un amore molto spesso sceglie di farsi un cane o un gatto nel mondo occidentale del quale facciamo parte, o altri animali altrove. C'è chi arriva a dedicarsi al cavallo, ma almeno in questo caso si unisce all'accudimento l'hobby. L'amore per i cani è ormai giunto a livelli esagerati con l'acquisto di cappottini e addirittura scarpe e con un attaccamento morboso che rasenta antigienici e inaccettabili comportamenti di tattilità che spesso non si hanno nemmeno con il proprio partner. Agli animali domestici si lascia fare tutto, interamente predominare sulla persona e sulla casa, escono fuori i peli ovunque e cattivi odori ma "l'innamorato" non prova fastidio, anzi, è con essi perfettamente integrato ad onta di ciò che gli altri pensano di lui, quando impone la presenza dell'animale e tutto ciò che egli è, vuole, decide, fa. Ciò non accade con il compagno di una vita del quale, ad un certo punto, si perdono le tracce tattili e ci si limita a una convivenza spesso anche litigiosa dove si vuole sempre avere ragione, diversamente che con il cane, che ha sempre ragione perché è tanto tenero.

Tutto questo è ai limiti del ridicolo, eppure è una "piaga" piuttosto rilevante: preferire l'animale al partner, dargli più attenzioni, baciarlo in bocca senza ricollegare tale azione alle malattie e del tutto sostituirlo al primo. La gattara è quella figura di una certa età (solitamente dai sessanta in su, ormai anche in giù) che raccoglie per strada decine di gatti e li sublima per avere da loro, da tanti di loro, da tantissimi di loro l'amore che si vuole e dare l'incontenibile amore che ha e che non sa dove riversare perché sola, perché problematica, perché gattara (esserlo, spesso, è capo e coda dello stesso problema di solitudine). Idem fa il "canaro" che gira con quattro, cinque, otto cani al guinzaglio e li chiama per nome uno per uno o li impone a cena, nel locale, nelle visite agli altri. Come si può, a queste persone, richiedere un livello di pulizia del corpo e della casa, nonché della loro automobile (sulla quale "non salire" è il consiglio)? Anche volendo, come potrebbero garantire i requisiti minimi di igiene? È davvero possibile sostituire l'amore per una persona con l'amore per un cane? Dare a quest'ultimo molto di più che alla persona che si ha accanto? O del tutto procedere a sublimazione come meccanismo di difesa di chi è ancora solo nella vita o è divenuto solo?

È davvero giusto non dare al proprio partner per tutta la vita o per un giorno solo lo stesso livello di accudimento di un cane, o farlo per sempre come si usa fare col cane finché non muore (e si entra in un vero e proprio lutto)? Come si può andare in giro pieni di peli bianchi in un'auto puzzolente e poi urlare contro la persona amata perché non si trova una maglietta senza darle nemmeno un bacio con la lingua (né incorrerendo nel rischio malattie)? Chiudo qui, o mi innervosisco.

Romina Ciuffa, 3 maggio 2025

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venerdì 2 maggio 2025

ALTRO CHE "I DUE OPPOSTI SI ATTRAGGONO"

 




ALTRO CHE "I DUE OPPOSTI SI ATTRAGGONO". Un uccellino ed un pescetto possono anche innamorarsi, ma dove metteranno su casa? Tanto si dice che le differenze arricchiscono, nessuno fa i conti con la realtà delle cose: essere diversi non sempre è la cosa migliore. Che i due opposti si attraggano, questo è valido solo per le pile. Non può essere, invece, ritenuto valido per gli esseri umani. Se si attraggono, non è di certo perché sono opposti: si attraggono perché si piacciono, e può piacere tanto un opposto quanto qualcuno perfettamente uguale a sé e, nel mezzo, tantissime sfumature. 

L'esperienza d'amore con una persona molto diversa può, all'inizio, essere foriera di grandi novità e conoscenze. A lungo andare, se i due partner non riescono a trovare una quadratura del cerchio, quella diversità potrebbe ucciderli e terminare un amore che è nato non per l'attrazione degli opposti. Ci piacciamo per mille motivi diversi e non ci innamoriamo dell'altro solo perché è diverso, sovvengono molti altri elementi a incanalare le nostre curiosità. Parlare due lingue diverse può essere, in principio, interessante, ma poi, con il tempo, l'incomprensione finirà per fagocitare i due parlanti che, con tanti giri di parole nella propria lingua, hanno provato a dire: non mi piace questa parte di te! I due opposti possono amarsi, ma devono almeno completarsi: c'è diversità e diversità. 

Ci sono, infatti, delle diversità che possono incrociarsi: sono quelle, ad esempio, degli interessi. I due partner hanno interessi differenti e questo potrebbe certamente arricchirli, senonché è possibile che proprio questi li dividano. In ogni coppia è necessario tenere spazi privati e non condividere tutto, ma vi sono delle non condivisioni che letteralmente logorano il rapporto. Se l'uno ama il mare, l'altro la montagna, dove andremo in vacanza? Domanda semplice, si dirà, e invece presenta una abnorme complessità nella risposta. Se si risponde "montagna" resta insoddisfatto l'amante del mare, se si risponde "mare" resta insoddisfatto l'amante della montagna. Si dirà: faremo "un po' per uno non fa male a nessuno", ma ciò non porta da nessuna parte, anzi, sposta l'asticella del rapporto ancora più in alto. Fare un po' per uno fa stare male entrambi. Nel caso della montagna, soffrirà chi vuole il mare ma soffrirà anche l'amante della montagna perché, se il trekking si fa insieme, l'altro non si troverà a proprio agio e questo umore dominerà la giornata; oppure l'altro non farà il trekking, così però vanificando il concetto di vacanze insieme (e, inoltre, cosa fare tutte quelle ore in montagna?). Vacanze al mare: l'uno insofferente in spiaggia mentre l'altro felice con la maschera, è questa una ipotesi plausibile? Una volta sì, ma tutte le altre? E quando le ferie sono contate?

Ebbene, la diversità tra marittimi e montanari riguarda intrinsecamente qualunque diversità: culturale, fisica, naturale, psicologica, linguistica, mentale e così via. Quando si dice che i due opposti si attraggono, in verità, si fa riferimento al sesso e alla passione iniziale ma non andiamo oltre, perché oltre si è destinati a soffrire, o l'uno, o l'altro, o tutti e due. Un uccello può innamorarsi del pesce, ma come farà quando quest'ultimo è immerso nell'acqua? Si potrà fidare? E il pesce potrà mai volare? Non penserà mai al tradimento? Si possono fare sacrifici per restare insieme e validare il proprio amore che, si presume, ci sia, ma questi sacrifici varranno la pena? Non si rischia di passare la vita con qualcuno con cui principalmente discutere, litigare, stare male? Mettersi con un pesce è davvero così importante per un uccello? Limitiamoci ai grandi risultati della passione e lasciamo andare l'eternità: pesce e uccello insieme non possono vivere. Che si amino come Romeo e Giulietta.

Romina Ciuffa, 2 maggio 2025

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giovedì 1 maggio 2025

NEL GIRONE DEGLI AMORI CATTIVI

 


NEL GIRONE DEGLI AMORI CATTIVI. Non è che detto che, se la coppia si frantuma, tutto va male e la delusione è in prima fila, l'amore sia davvero terminato. Come possiamo misurarlo, c'è un modo? Forse c'è. In alcuni casi, addirittura, la misurazione dell'amore avviene dalle cattiverie che i partner si scambiano quotidianamente. Come? Non è amore? E, invece, può esserlo. 

Ci sono anime totalmente incompatibili che si incontrano per scontrarsi e che poi, una volta accortesi di essere tanto diverse, non vogliono rinunciare l'una all'altra e preferiscono soffrire in eterno, in un girone dantesco. Sono consapevoli del male che si fanno e, a volte, pur provando non riescono a non farsene, eppure vogliono stare insieme. Finiscono, così, per perpetrare sull'altro e su se stesse ogni tipo di dolore e non riescono ad uscire dal girone che è stato loro attribuito: quello degli amori cattivi.

In realtà, quelle anime non avrebbero voluto essere cattive. Loro vogliono solo essere se stesse. Ma l'essere se stesse comporta, puntualmente, la lesione dell'altra, una discussione, poi la reazione e la lesione dell'una ad opera della seconda in un circuito vizioso che, nel corso dei giorno, dei mesi, degli anni, logorerà entrambe. Le due anime non potranno stare lontane sebbene una volta ogni tanto si lasceranno, si distaccheranno, taglieranno i contatti, si dispereranno nel sentire quel vuoto minacciare altissime sofferenze, per poi ricominciare tutto daccapo qualche tempo dopo."Daccapo", però, non è la parola giusta: essa, infatti, significherebbe tornare all'amore passionale e alle finezze dei primi giorni. Queste due, invece, si riprenderanno con una paura fottuta che, come in ogni circolo vizioso, tornerà a spaventarle. Si sarà tranquilli per una manciata di giorni, ma non sereni perché ormai è certo: si ricomincerà a disturbarsi, dunque il rapporto sarà vissuto in un grande chi-va-là che non lascerà molto spazio all'amarsi. 

Ci sono persone in coppia talmente sole che se si unissero formerebbero due persone sole. Queste sono le vittime dell'amore cattivo, quell'amore che non è necessariamente violento ma che si nutre delle cattiverie cieche delle due, insegna loro a farne, annulla l'amor proprio in ragione di un masochistico bisogno di amore. Si può misurare l'amore nell'amore cattivo? Certo, e si dirà di più: le vittime dell'amore cattivo si amano anche di più, perché accettano tutta la cattiveria pur di stare insieme. Dunque l'amore è misurabile quantitativamente, meno lo  è qualitativamente  salvo considerare l'amore cattivo un tipo di amore.

Si alza l'opposizione di chi risponde: se è amore, non può essere cattivo, l'amore è un grande e intenso voler bene e volere il bene dell'altro. Ne siamo sicuri? È certo che nel mondo si intenda amore come il bene per l'altro? Non sarà che l'amore è, innanzitutto, un'azione fatta per se stessi? Un'azione intrinsecamente egoistica, solo dopo la quale fuoriesce anche la componente altruistica in cui si considera anche l'altro. Nel primo momento dell'amore, si vuole amare perché si è portati a farlo, perché è bello, perché fa bene, perché è un sentimento darwinianamente utile che consente la riproduzione della specie, perché non si vuole restare soli, perché si vuole sesso sicuro, perché è più comodo per fare dei figli. Tutto questo, che non è nulla di altruistico: mai si amerà perché l'altro ha bisogno di quell'amore, perché l'altro non si senta solo, perché l'altro vuole dei figli, perché per l'altro l'amore è bello - peraltro, anche il secondo manifesterà la stessa componente egoistica e non amerà mai perché quell'altro vuole essere amato. Gli amori non corrisposti, altrimenti, non esisterebbero.

Suvvia, una buona dose di occhi aperti e testa sgombera per dire: anche l'amore cattivo è amore, anzi, è un amore anche più grande perché non porta con sé la componente egoistica ma solo le falle dell'animo, quelle che devono essere ricoperte con le parolacce dell'altro per sentirsi, finalmente, capiti.

Romina Ciuffa, 1 maggio 2025

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