mercoledì 18 gennaio 2017

giovedì 12 gennaio 2017

CARILLOFF

La sua scatola portagioie porta gioie solo quando è chiusa, ma quando è chiusa lei non può ballare: che gioia è? 

A proposito di scatola armonica, la mia: quando la chiudi, la ballerina che rotola su se stessa si piega in due e non si sa più che fine fa e questo mi ha sempre dato soddisfazione. Pensa questa scema, naso contro i guanti e i gioielli, in apnea totale, si gonfia tutta si gonfia, sudando come un bestia nel corsetto, urlando come il brutto genio nella lampada: «Apri la scatola, voglio ballare cazzo!». Ma chi sei, le dico, ma chi ti conosce. Ma ti pare, una ballerina dentro casa. Ne serviva giusto un’altra di narcisista. Inscatolo e metto qualcosa di forte, che si addica al mio stato, Marilyn Manson, «Se non posso averti, non potrà nessuno». Se io non posso averti, ballerai a comando. Ora voglio stare per conto mio, la chiudo abbarbicata nel suo stupido tutù. Ho sempre odiato le cretine che non sanno aprire la loro scatola da sole. Per di più rosa.

Perché non mi sono fatta un orologio a cucù, dico io, delle bestie puoi fidarti molto più che delle donne. Avevo questo carillon come si hanno i carillon: non si sa perché. Stanno lì, da parte, li ricordi dall’infanzia ma non potresti mai dire chi li ha messi lì. Sarà stata l’amante di qualcuno dei miei nonni, zii, di mio padre, di una cugina gay non dichiarata o chissà. Questa stupida ballerina, quando apro, mostra di sapere della vita. Di me. Perché mi colpisce tutte le volte, esce come se io non sapessi. Mi sorprende. Ma gira sotto lo sprone della mia carica e questo non va: voglio un carillon indipendente, una ballerina che mi faccia danzare. Che esca dalla scatola mentre dormo.

Adoro questa sequenza, London’s Bridge is Falling down, canzonetta in voga nelle scuole materne inglesi dal 1744. Nel 1013 il London Bridge fu fatto bruciare da re Edredo d’Inghilterra e dal suo alleato norvegese Olav II per dividere l’esercito degli invasori danesi di re Svein Haraldsson; Snorri Sturluson nel 1225 scrisse la Saga di Olav Haraldson. Come lo ricostruiremo, my fair lady? Il ponte sta crollando, signora. Ma lei ha gli occhi distrutti dal panico. Conosco quegli occhi. Prendo la chiave e la rinchiudo con le gioie. Lock her up, Lock her up. Cessa di crollare il ponte, la mia ballerina riposa riversa sulle collanine. Il panico è passato, è più tranquilla ora ma la sento, sento le mie collanine e gli orecchini fare dling dling, come una scossa di terremoto minuscola che è la mia ballerina tremante. Ricostruirò questo ponte rosa mentre la scatoletta trema. Poi si calma. Dev’essersi addormentata. Da carillon a carilloff.

Passano i mesi e la riapro. Ballerina come stai? La tua serotonina? E l’amigdala, l’hai regolata intanto? Esce fuori, assonnata. Ha dimenticato del ponte, poi quel lampo nei suoi occhi cerulei, due puntini senza pupille. No, non è crollato. Ma fregatene. Sei al riparo, sei con me, sei nella scatola del carillon. Ballerina, tu balla, fregatene del ponte. Fai ciò che più ti piace, la felicità, esci dalla scatola. Mi guardi, come a dire: gira. Ho paura di farti girare, perché ho paura che avrai paura di nuovo. Lock her up. Ruoto velocemente il meccanismo. Lei ha le unghie curate, il trucco è leggero. Tende al cielo allungando le braccia e indica me.

Mi accorgo di meritare un uccello che esce fuori dall’orologio ogni 12 ore e fa cucù. Ne Il Silenzio degli Innocenti c’è un carillon come il mio nella stanza di una vittima di Hannibal Lecter. Questa scatoletta rosa piena di oche e fru fru accanto ai pezzi d’uomo di una cena avanzata si addice di più al mio crescere. Sapere che anche la scatola più rosa fuori è nera. Cari, on. Cari, off.

London Bridge is falling down, balla, soffre ma balla, un po’ trema. Rallento. Sta sudando di nuovo. Ha le mani fredde. Le sposto una collanina che le si è incastrata tra i piedi, delicatamente le pulisco la scatola delle gioie e intanto lei volteggia, mi guarda, lei che porta gioie e non sa dove siano, le gioie. Trema più forte. Il ponte sta per crollare, vedo che già non riesce più a concentrarsi sui suoi passi. Le sta tornando il panico. Non era stupida, ma terrorizzata. Il terrore che venga a mancare la terra sotto i piedi, che è il terrore di volare. La paura che ogni volta, danzando, il ponte crolli. I sensi di colpa. Qualcuno che la osserva da fuori. La sua scatola portagioie porta gioie solo quando è chiusa, ma quando è chiusa lei non può ballare: che gioia è?

Allora prendo e giro la rotella a sinistra, la faccio al contrario tutta quanta così il ponte è ricostruito. Le si illuminano gli occhi. Da cerulei a veri. Non ci avevamo mai pensato. Balla, senza paura balla, ci sono io qui fuori, io ti conduco, tu balla e ricostruisci questo ponte. Fra poco richiuderò il portagioie. Ma sai che lo riaprirò, ti caricherò e ti farò girar la testa, ti condurrò in un ballo dolce fino alla fine della notte. Sai che, mentre la tua scatola sarà chiusa, io non comprerò nessun orologio a cucù e spolvererò la tua scatoletta. (Romina Ciuffa)


lunedì 2 gennaio 2017

CARO DIRETTORE, MI AIUTI A USCIRE DALLA CAVERNA

C'è chi mi chiede di parlare di Renzi, chi di Gentiloni, chi di Grillo. C’è chi vuole un articolo sulla Raggi e sul degrado di Roma. Mi hanno consigliato di scrivere della denatalizzazione e delle nuove statistiche sul crollo demografico. Ciascuno mi ha, in cuor suo, dettato un articolo intero: esigenza estrema di dire la propria, necessità di parlare di tematiche di interesse generale che io potrei a mio modo svolgere. Dentro di me mi sentirei, lo dico sinceramente, di parlare della morte di George Michael, simbolo di un’intera generazione che vola via, forse vittima di un suicidio. Mi sentirei di parlare dell’abuso dei nuovi network, che nuovi non sono più, e di come siamo manipolati dalla «sindrome della spunta blu» di WhatsApp, delle nevrosi che ne conseguono, dei danni neurologici, psicologici e somatici che la comunicazione «smart» ha introdotto e indotto. C’è chi mi chiede di parlare del terrorismo, dell’Isis, dei foreign fighter, di Trump, di un 2016 bisestile che, a quanto sembra, ha fatto più vittime che carnefici. Lo farò. Ma poiché anche io ho delle richieste da farmi, oggi ho deciso di scrivere una lettera al direttore: una lettera a me stessa.

«Caro direttore, 

Le scrive un’accanita lettrice di Specchio Economico. Sono anni che vi seguo, con voi entrando nel mondo delle realtà aziendali e istituzionali, leggendo dalle vostre righe le parole di chi questo mondo lo crea e lo distrugge. Sono una quarantenne plurilaureata, mi ritengono una persona sensibile, mi definiscono geniale, ma quando invio il mio curriculum in giro mi tacciano: ‘overqualified’. Ne ho interpretato il timore di avere tra i piedi una lavoratrice troppo preparata, che potrebbe avanzare pretese. Ne ho letto una profonda crisi del sistema, che anziché premiare gli studiosi e i lavoratori li teme. Non mi soffermerò, in proposito, sull’infelice frase del ministro del Lavoro Giuliano Poletti sulla fuga dei cervelli («Conosco gente che è bene sia andata via, questo Paese non soffrirà a non averli tra i piedi»). Mala-educazione che imperversa, disattenzione verso gli altri, disintegrazione dell’umanizzazione. C’è un Bastian contrario che abita questo Paese dissestato.

Il 2016 è stato un anno di perdita per gran parte di noi. C’è chi ha visto morire i propri cari (personalmente ho appena perso il mio più caro amico, Francesco, finito fuori strada in moto sulla via Salaria a causa di una buca - capitolina, capitombolina, capitolare - che il giorno dopo, come da tradizione, è stata subito ricoperta). Ci sono state bombe e persone esplose, altre inesplose, gli attentati sono all’ordine del giorno e a Capodanno - tralascio le polemiche sul divieto romano di fare i botti tradizionali, che peraltro condividevo - ho festeggiato nella mia taverna, in pieno centro a Roma, davanti al camino. Glielo dico per raccontarle un aneddoto che si è verificato. Due invitate mi hanno chiamato terrorizzate informandomi della loro rinunzia a venire. Spiegavano: giunte davanti al portone, hanno visto un arabo gettare una borsa sotto una macchina. Lo hanno fermato, ma lui è scappato alla velocità della luce. Si tratta di due persone di elevato spessore culturale e sociale: lungi da loro ogni riferimento ad una fobia spicciola da uomo di strada o alla stereotipicità del pregiudizio. Hanno chiamato i carabinieri, poi mi hanno avvisato: per la paura che tale pacco contenesse una bomba, preferivano rientrare a casa. Le ho tranquillizzate: c’è un carabiniere a casa mia, risolviamo tutto (per dovere di cronaca, i carabinieri chiamati non sono mai arrivati). Nella mia temerarietà, ho passato al setaccio tutte le autovetture parcheggiate davanti al portone fino a trovare una borsa di Chanel del valore di circa mille euro; senza dubitare l’ho aperta e vi ho trovato moltissime carte di credito e documenti: apparteneva ad un medico libanese iscritto all’Università americana di Beirut. Il carabinere presente al mio veglione ha fatto il resto, risolvendo la situazione. Le due invitate hanno partecipato alla nostra cena. 

Solo poco dopo, sono uscita nuovamente dal portone e ho trovato un italiano ed una spagnola nudi, alle prese con un rapporto sessuale completo in mezzo alla strada, in pieno centro storico. Li ho dapprima fotografati, poi ho detto loro che avrebbero potuto continuare indisturbati. L’uomo si è alzato e mi ha proposto in maniera aggressiva un rapporto sessuale. Ha insistito violentemente. Ho declinato, lui si è alterato ancora di più e ha detto a lei, a gambe aperte, ‘torniamocene al locale’. Per le strade v’erano solo ubriaconi, il centro di Roma era paragonabile ad un settore del Risiko, oltre a ciò pericoloso, indegno, sporco, violento, viziato. Con questa mia lettera, caro direttore, vorrei solo che lei sapesse che, sia pure le tematiche delle aziende e dello stato della politica siano rilevanti, c’è un mostro che adombra le nostre città. E quello non sono io, sia pure ‘overqualified’.»
 
Cara lettrice, farò riferimento al mito della caverna di Platone: prigionieri convinti che le ombre che vedono siano la realtà. Ammesso che uno di essi riuscisse ad uscire dalla caverna, le forme portate dagli uomini verso l’esterno gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; se gli fosse indicata la fonte di luce, egli rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, il sole, le stelle, preferirebbe volgersi verso le ombre. Poi, finalmente capace di fissare la luce e di comprendere il valore del sole e della verità, avrebbe un sussulto pietoso: rientrare e liberare i compagni. Ma dovrebbe riabituare la vista al buio per rientrare nella caverna e riconoscere i compagni, dai quali sarebbe deriso per i suoi occhi rovinati, in una temporanea inabilità che non gli consentirebbe, nell’immediato, di spiegar loro il senso di realtà provato. Platone giunge ad immaginare che questi ultimi possano essere mossi da un istinto omicida nei riguardi dell'amico "illuminato" pur di non subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita necessaria ad ammirare le cose descritte.

Parafraserò ciò che lei descrive in questo modo: la nostra, o piuttosto la «loro» Italia, è una caverna. Il mio augurio più forte è quello che lei, almeno lei, riesca ad uscirne, come fece il filosofo, per vedere la luce. Il ladro di Chanel, i due ninfomani ubriachi, l’assenza di controlli: quelle non sono che ombre. Uscendo dalla caverna le dirò ciò che vedo, la realtà: la sparizione della civiltà, l’adeguarsi ad una maleducazione sessuale e sentimentale, la pericolosità di uno Stato che non tutela i cittadini. Non mi venga a dire il ministro Minniti che lo stragista di Berlino è stato trovato in Italia grazie agli sforzi compiuti dalle Forze dell’ordine: è stato un caso. Le auguro, cara lettrice, di abituare gli occhi quanto prima ad una nuova luce, e di uscire dalla caverna senza nemmeno raccogliere i suoi quattro stracci. Fuori ci sarò io ad attenderla: ma il suo amico Francesco dalla Giunta Raggi non potrà riaverlo. In Italia gli attentati ce li facciamo da soli.  Romina Ciuffa