Quando dico "vola",
non sprono alla fuga:
sprono all'atterraggio.
Romina Ciuffa, 30 dicembre 2016
venerdì 30 dicembre 2016
PSICOLOGIA: IL CONFLITTO INOPPUGNABILE DENTRO DI NOI, DUBBIO AMLETICO O NEVROSI?

In tutte queste ipotesi, sempre presenti e in modo molto complesso ed evidente nella realtà quotidiana, il soggetto tenderà - quando non a bloccarsi (è l’esempio dell’asino di Buridano) - a risolvere in un senso o nell’altro, quindi a predisporsi in modo da esaltare l’obiettivo scelto e denigrare quello trascurato per non tornare in conflitto, dunque semplificando solo determinati aspetti dell’oggetto-meta e mutando la propria posizione cognitiva ed emotiva. Ciò non avviene sempre, e il soggetto può tanto ritirarsi dalla decisione quanto oscillare nevroticamente tra le varie ipotesi.
Fu il russo Ivan Pavlov, lo stesso che studiò le reazioni del cane in ambito comportamentista, a compiere studi sul conflitto eccitazione-inibizione negli animali in una situazione di nevrosi sperimentale indotta, in cui verificò il presentarsi di situazioni di turbe generali di ansia e disturbi alimentari, turbe nei rapporti sociali, manifestazioni psicosomatiche. Nell’uomo tali reazioni sono molto più evidenti, in un repertorio più ampio di sintomatologie.
In ambito psicanalitico, il conflitto riveste un’importanza primaria: Sigmund Freud lo colloca tra istinto di vita e istinto di morte (Eros e Thanatos), tra Es e Super Io, tra principio di realtà e principio di piacere, e contrappone il conflitto manifesto ad un conflitto latente. Gli elementi manifesti, se presenti, svolgono una funzione di copertura dei conflitti latenti, con implicazioni di rilievo che includono lo sviluppo di psicopatologie anche molto gravi, cui Freud risponde con l’interpretazione dei sogni, le associazioni libere, il transfer, l’ipnosi, tecniche utili a far emergere le cause inconsce che il soggetto soffoca con meccanismi di difesa a partire dal più dirompente, quello della rimozione, non sufficiente ad eliminare il conflitto se non a livello conscio.
Tra i cognitivisti, l’americano Leon Festinger si è espresso elaborando il concetto di «dissonanza cognitiva», quello stato generato dall’incoerenza tra due credenze od opinioni contemporaneamente esplicitate che si trovano a contrastare fra loro. Distinguendo dissonanze cognitive per incoerenza logica, per tendenze comportamentali del passato, per costumi culturali rispetto al contesto di riferimento, sostiene che un conflitto possa risolversi in tre modi: la modifica del comportamento, la modifica dell’atteggiamento o la modifica dell’ambiente. È il caso di colui che, disprezzando i ladri, acquisti un prodotto ad un prezzo tanto basso da non poter non pensare che esso provenga da atto illecito. Tale conflitto può risolversi attraverso una modifica cognitiva della credenza: smettere di disprezzare i ladri, o intervenendo sul comportamento: non comprare, in questo esempio essendo difficile mutare la situazione ambientale. È anche il caso del consumo di sigarette: colui che le assume sa che danneggiano la salute, dunque può smettere di fumare ovvero proseguire dando peso alle probabilità (solitamente valutate con euristiche alla Kahneman - routinarie, molto efficienti, poco consapevoli, automatiche e tendenti alla semplificazione - e non con algoritmi complessi come la formula di Bayes, anche detta teorema della probabilità delle cause) che fumare non sempre uccide, e che si tratta di un comportamento che molti hanno fino a tarda età senza riscontrare problemi incisivi, accettandone così anche il rischio. Festinger ricorda Fedro, che conclude la favola della volpe e dell’uva con un aggiustamento cognitivo: «Tanto era acerba». Importanti i suoi esperimenti su comportamenti compiacenti e ricompensatori.
È il canadese Daniel Ellis Berlyne a contraddire gli altri studiosi quando parla di una marcata motivazione al conflitto che spinge l’uomo in tale direzione. Le proprietà collative degli stimoli, ossia la presenza di elementi di novità ed incongruenza con le precedenti conoscenze determinanti per l’attività cognitiva, attengono al confronto e possono essere messe in relazione con l’incertezza: un confronto con situazioni nuove e complesse porta ad un innalzamento dell’arousal, il livello di attivazione dell’organismo, e conduce all’esperienza che Berlyne ha chiamato «conflitto concettuale», che può aumentare eccessivamente l’arousal stesso. Con l’esplorazione specifica è possibile ridurre tale arousal, mentre effetto contrario si ottiene con l’esplorazione diversiva.
La teoria di Berlyne a proposito della relazione tra le emozioni e i processi cognitivi ripropone un’idea di Wilhelm Wundt, espressa con la curva di Wundt-Berlyne la quale riassume le relazioni che intercorrono tra arousal e stato emotivo connesso a una data situazione, inteso come valore edonico della situazione dipendente dall’arousal: il valore positivo o negativo delle emozioni è funzione che inizialmente aumenta, quindi diminuisce con l’aumentare dell’arousal.
Il conflitto si manifesta a livello intrapsichico sì, ma anche interpersonale, come nel caso di opinioni contrarie, e spesso a suscitarlo non è un oggetto ma un modello di comportamento. L’appartenenza a diverse categorie genera un conflitto tra ruoli, che viene esaltato dalle diverse regole, spesso incompatibili, da rispettare. Esempio utile è quello tra «testimone» e «amico» nel caso di incidente stradale (il ruolo «amico» mente per avvantaggiare il conoscente, il ruolo «testimone» dichiara il vero ma avvantaggia così lo sconosciuto che è stato urtato): alcuni hanno risposto al quesito conflittuale in termini di ruolo pubblico, altri di ruolo privato.
Un conflitto denso di significati è quello intraevolutivo, nel passaggio da un’età all’altra (peraltro molto ben evidenziato da Erik Erikson), legato alle trasformazioni corporee e alla maturazione cognitiva. A tale conflitto è possibile rispondere con una terapia psicologica affinché il passaggio avvenga armonicamente, sia nei bambini, che passano attraverso «età critiche» più sensibili (per Erikson sperimentando conflitti fiducia-sfiducia, autonomia-vergogna e dubbio, iniziativa-senso di colpa, industriosità-inferiorità), sia negli adolescenti, divisi tra bisogno di contrapporsi alla famiglia con un proprio senso del sé e difficoltà ad accettare la crescita e il distacco dalle figure di accudimento (per il medesimo psicologo dello sviluppo, in tale fase il conflitto è tra identità e diffusione), sia negli adulti (in bilico tra intimità e isolamento contro generatività, poi tra stagnazione e autoassorbimento), sia negli anziani (nel conflitto eriksoniano tra integrità dell’Io e disperazione).
Nell’area clinica l’applicazione riguarda il trattamento delle nevrosi, per cui diventa centrale favorire un processo di consapevolezza ed elaborazione dei termini del conflitto nevrotico. È utile dare una «narrazione», far emergere nel colloquio gli elementi di attrazione e repulsione e favorire un processo decisionale adeguato. L’elemento terapeutico nei colloqui clinici è sempre presente anche quando non si sia stabilito alcun contratto terapeutico ed il clinico non si sia posto esplicitamente nel ruolo di psicoterapeuta. Oltre al colloquio sono utili metodi psicometrici, quali test proiettivi (Rorschach e Tat sono i più utilizzati) che consentono di estrapolare i dati presenti inconsciamente, e test grafici.
Anche i profili di Rubin possono rivelare l’entità di un conflitto, prestandosi a due possibilità di lettura: il soggetto, fissando a lungo le figure, alterna le due percezioni conflittuali sempre più velocemente finché l’immagine non si scomotizza (la scomotizzazione è quel meccanismo di difesa psicotico di negazione inconscia con cui il soggetto occulta o esclude dall’ambito della coscienza o memoria un ricordo penoso, ma anche intellettivamente inteso dalla psicologia cognitiva, la creazione di uno stereotipo ove si eviti di prestare attenzione ad alcuni dati disponibili in un certo contesto, dunque risolvendosi in una reazione alla dissonanza cognitiva attraverso fissazione cognitiva). I profili di Rubin sono conosciuti nell’illusione ottica della figura sfondo-vaso, tipica di conflitto.
Molti sono gli studi compiuti sul conflitto intrapsichico, quel dubbio «amletico» che, se seviziato, non accompagnato, non sorretto, non cognitivizzato, conduce ad una sofferenza talvolta inoppugnabile. Alcuni individui sono più propensi a nuotare nel conflitto, a bloccarsi, con o senza nevrosi conclamata. C’è chi dice che il segno zodiacale dei Gemelli ne sia il più afflitto. Altri sono più orientati ad agire da boia: un colpo secco, e non ci si pensi più (il segno del Toro, nell’esempio astrologico). Non sia però sottovalutato il problema: chi vive nel conflitto finisce per cronicizzarne i sintomi e le conseguenze sono devastanti. È collegato il tema della frustrazione, che approfondirò in un prossimo articolo. Romina Ciuffa
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giovedì 22 dicembre 2016
NON CHE TRASPARIRE
Non che trasparire
nasconda le cose, piuttosto
le amplifica e rende curiose
idee evanescenti di un senso
d'amore - quel forte rancore
dell'essersi resi invisibili
quando
si amava -
ed intanto
riflette su un vetro
l'immagine amata
lasciata nel retrobottega
del "dopo", del "poi ci si vede",
del "sei tu la sola
che amo ma". Gola,
la sola che avrà questo nodo.
Parola.
Romina Ciuffa, 21 dicembre 2016
nasconda le cose, piuttosto
le amplifica e rende curiose
idee evanescenti di un senso
d'amore - quel forte rancore
dell'essersi resi invisibili
quando
si amava -
ed intanto
riflette su un vetro
l'immagine amata
lasciata nel retrobottega
del "dopo", del "poi ci si vede",
del "sei tu la sola
che amo ma". Gola,
la sola che avrà questo nodo.
Parola.
Romina Ciuffa, 21 dicembre 2016
lunedì 12 dicembre 2016
MORRO DOS PRAZERES: I COLORI DELLA FAVELA CHE HA UCCISO UN VENETO
"Morro
dos Prazeres" significa letteralmente "collina dei piaceri". È una
piccola, spettacolare favela a sud di Rio de Janeiro che si staglia a
275 metri, vicino il quartiere bohémienne di Santa Teresa, e da essa è
visibile tutta la Rio più nordica sebbene ancora meridionale, dal Pão de
Azucar al Botafogo, una delle viste più intense della città carioca, la
cidade maravilhosa. Prazeres conta meno di 700 residenti. Il
suo nome è un tributo a Madre Maria dei Piaceri, che tenne una messa
alla base della collina dove una volta era una cappella (oggi v'è un
blocco di appartamenti). Il suo passato non è dorato: è stato un
Quilombo, ossia un punto in cui gli schiavi si rintanavano nel XIX
secolo.
Nel 2008 è stata il set del film Elite Squad, il famosissimo Tropa de Elite. Non è facile giungervi, ed è parte dell'unità di "Escondinho/Prazeres". Comunità "pacificata", la polizia vi è entrata e, "teoricamente", la favela è "tranquilla". Che la polizia entri in una favela e la pacifichi non vuol dire che la favela sia pacificata. Nella maggior parte dei casi, pacificação non è affatto sinonimo di pace, tutt'altro: i residenti si sentono più insicuri. Il BOPE (Batalhão de Operações Policiais Especiais, ovvero Battaglione per le operazioni speciali di polizia) tende a confrontarsi con i cittadini in maniera più dura, ed essi si sentono paradossalmente più protetti dai narcotrafficanti. I tiroteios (gli scontri a fuoco) restano, cambiano solo gli addendi: se prima erano tra narcotrafficanti, poi sono tra narco e polizia, e i residenti sono meno tutelati. Questa è vox populi. E il povo si lamenta perché se prima poteva tenere le porte aperte e nessuno avrebbe rubato né commesso crimini, con l'entrata del BOPE le cose cambiano e iniziano i furti e gli stupri, non più assiduamente controllati dai precedenti detentori del potere (molti dei quali in carcere, altri latitanti, altri ancora nella comunità).
Mi soffermo oggi sul Morro dos Prazeres, che conosco bene, e ne pubblico il mio reportage fotografico, a poche ore dal caso di cronaca nera verificatosi alle 11 ora locale dell'8 dicembre: due motociclisti italiani, durante un viaggio previsto di 35 mila chilometri, dopo una visita al Cristo Redentore sarebbero entrati per sbaglio nell'area e fucilati. Dal Morro il Cristo è ben visibile.
Ma non basta un occhio a Dio: il veneto Roberto Bardella, di Jesolo, è morto, raggiunto dai colpi alla testa e al braccio; suo cugino Rino Polato (di Fossalta di Piave) si è salvato (dichiara alla polizia locale: "Roberto mi faceva notare quanto fosse degradato l'ambiente circostante. Ci siamo resi conto di aver imboccato una strada sbagliata"). Vestiti da centauri, sono forse stati scambiati per poliziotti. "Avremmo fatto trecento metri, quando abbiamo visto quel gruppo di uomini, tutti molto giovani, che sbarrava la strada e puntava le armi. Ho sentito un colpo sul casco e ho visto cadere Roberto che stava davanti. Mi sono fermato. Sono stato bloccato, strattonato e poi buttato giù dalla moto". Poi, Polato è stato preso e tenuto per due ore in una vettura bianca, quindi rilasciato. Il suo telefono, scomparso, è stato poi ritrovato a pezzi. La Delegacia Especial de Apoio ao Turismo (Deat) lo ha accompagnato al Consolato italiano, e sabato 10 è rientrato in Italia. Solo.
Un incidente. Ma questo basti a confermare non la pericolosità del Brasile, quanto la pericolosità del turista. Rectius: la sua leggerezza. Non si creda - è un invito - che le palme bastino a rendere omaggio ad un Paese che resta emergente, sofferente, insoddisfatto, povero. I media hanno esaltato le Olimpiadi, i Mondiali, la Giornata dei Giovani e la presenza del Papa, le buone azioni del Governo, e mai hanno rivelato gli scandali effettivi che hanno distrutto intere comunità, l'aumento del costo della vita che ha reso impossibile la sopravvivenza di molti, l'esistenza di un grande, immenso, giro di spaccio nazionale ed internazionale. Non si può pensare al Brasile canticchiando Caetano Veloso, in un localetto fumante ascoltando un successo di Tom Jobim. Il Brasile non è bossanova. Il Brasile è questo: è il dolore di famiglie sfrattate, la scarsa educazione, l'analfabetizzazione. Quando per costo della vita si intende più il prezzo che vale una vita: ossia, nulla. Un iPhone, una motocicletta, ma anche solo una decina di reais. Non si visita una favela con leggerezza, non si cammina nelle spiagge di Jericoacoara di notte da sole, non si rischia la vita come l'hanno rischiata, e persa, gli ultimi italiani casi di cronaca nera più recenti. C'è sempre un errore alla base di tutto questo.
Ho vissuto nella favela della Rocinha e frequentato tutte le favelas di Rio de Janeiro. Sono stata sempre molto attenta e mi sono garantita protezione prima di tutto. Sono scampata a sparatorie e i colpi di fucile li ho visti passare sopra di me che correvo. La favela non è un Risiko, non è un gioco. Ma non lo è neanche Leblon, non lo è Ipanema, né Copacabana, che prolificano di ragazzini affamati di denaro. Bisogna, prima di affrontare un viaggio in Brasile, approntarsi una preparazione in sociologia, antropologia, psicologia, storia. Solo allora si potranno capire quelle che al turista medio sembrano le contraddizioni di un Paese, mentre a me sembrano solo elementi di coerenza. Sarebbe strano il contrario. Non si entra con una moto in una favela, regola numero uno. Salvo che non sia una moto della favela. Non si compra maconha (marijuana) nella favela, salvo che non si sia introdotti da un favelado di quella stessa favela. Non si passeggia allegramente in una favela con una macchina fotografica a lungo obiettivo, salvo che non si sia garantita protezione.
Il Morro dos Prazeres è una comunità colorata, ne danno conto le mie fotografie. Alzi gli occhi e vedi Cristo. Alcune case sono in vendita. L'atto di acquisto non è registrato nello Stato di Rio de Janeiro e non risulterà da nessuna parte, se non nel Registro della Favela. Smettetela di fare i gradassi: la favela non è un centro sociale. La favela è un luogo fatto di persone vere che soffrono fame e tubercolosi, che se è vero che non pagano la luce allo Stato perché hanno i gatos, i fili collegati in ogni punto dell'area che garantisce loro dell'autoconservazione, questo rientra nella sociologia del luogo. Cacciati dalla città, i poveracci si rifugiarono nei morros quando ancora la città non si era resa conto di quanto valessero quelle colline. Ora sono le più ambite dai grandi imprenditori, dali politici, dai ricchi. Il gap tra povertà e ricchezza è tra i più alti del mondo. Ogni singola comunità (favela) ha una vita a se stante, una storia a se stante, una genealogia a se stante. Sono attivi progetti e le comunità sono comunità di buoni. Non facciamoci influenzare dai media. Ma attenzione alla leggerezze.
Eccoli, i colori che ho visto nella collina dei piaceri, dove il pittore è Cristo: al link http://www.riomabrasil.com/morro-dos-prazeres/
(Romina Ciuffa)

Nel 2008 è stata il set del film Elite Squad, il famosissimo Tropa de Elite. Non è facile giungervi, ed è parte dell'unità di "Escondinho/Prazeres". Comunità "pacificata", la polizia vi è entrata e, "teoricamente", la favela è "tranquilla". Che la polizia entri in una favela e la pacifichi non vuol dire che la favela sia pacificata. Nella maggior parte dei casi, pacificação non è affatto sinonimo di pace, tutt'altro: i residenti si sentono più insicuri. Il BOPE (Batalhão de Operações Policiais Especiais, ovvero Battaglione per le operazioni speciali di polizia) tende a confrontarsi con i cittadini in maniera più dura, ed essi si sentono paradossalmente più protetti dai narcotrafficanti. I tiroteios (gli scontri a fuoco) restano, cambiano solo gli addendi: se prima erano tra narcotrafficanti, poi sono tra narco e polizia, e i residenti sono meno tutelati. Questa è vox populi. E il povo si lamenta perché se prima poteva tenere le porte aperte e nessuno avrebbe rubato né commesso crimini, con l'entrata del BOPE le cose cambiano e iniziano i furti e gli stupri, non più assiduamente controllati dai precedenti detentori del potere (molti dei quali in carcere, altri latitanti, altri ancora nella comunità).
Mi soffermo oggi sul Morro dos Prazeres, che conosco bene, e ne pubblico il mio reportage fotografico, a poche ore dal caso di cronaca nera verificatosi alle 11 ora locale dell'8 dicembre: due motociclisti italiani, durante un viaggio previsto di 35 mila chilometri, dopo una visita al Cristo Redentore sarebbero entrati per sbaglio nell'area e fucilati. Dal Morro il Cristo è ben visibile.
Ma non basta un occhio a Dio: il veneto Roberto Bardella, di Jesolo, è morto, raggiunto dai colpi alla testa e al braccio; suo cugino Rino Polato (di Fossalta di Piave) si è salvato (dichiara alla polizia locale: "Roberto mi faceva notare quanto fosse degradato l'ambiente circostante. Ci siamo resi conto di aver imboccato una strada sbagliata"). Vestiti da centauri, sono forse stati scambiati per poliziotti. "Avremmo fatto trecento metri, quando abbiamo visto quel gruppo di uomini, tutti molto giovani, che sbarrava la strada e puntava le armi. Ho sentito un colpo sul casco e ho visto cadere Roberto che stava davanti. Mi sono fermato. Sono stato bloccato, strattonato e poi buttato giù dalla moto". Poi, Polato è stato preso e tenuto per due ore in una vettura bianca, quindi rilasciato. Il suo telefono, scomparso, è stato poi ritrovato a pezzi. La Delegacia Especial de Apoio ao Turismo (Deat) lo ha accompagnato al Consolato italiano, e sabato 10 è rientrato in Italia. Solo.
Un incidente. Ma questo basti a confermare non la pericolosità del Brasile, quanto la pericolosità del turista. Rectius: la sua leggerezza. Non si creda - è un invito - che le palme bastino a rendere omaggio ad un Paese che resta emergente, sofferente, insoddisfatto, povero. I media hanno esaltato le Olimpiadi, i Mondiali, la Giornata dei Giovani e la presenza del Papa, le buone azioni del Governo, e mai hanno rivelato gli scandali effettivi che hanno distrutto intere comunità, l'aumento del costo della vita che ha reso impossibile la sopravvivenza di molti, l'esistenza di un grande, immenso, giro di spaccio nazionale ed internazionale. Non si può pensare al Brasile canticchiando Caetano Veloso, in un localetto fumante ascoltando un successo di Tom Jobim. Il Brasile non è bossanova. Il Brasile è questo: è il dolore di famiglie sfrattate, la scarsa educazione, l'analfabetizzazione. Quando per costo della vita si intende più il prezzo che vale una vita: ossia, nulla. Un iPhone, una motocicletta, ma anche solo una decina di reais. Non si visita una favela con leggerezza, non si cammina nelle spiagge di Jericoacoara di notte da sole, non si rischia la vita come l'hanno rischiata, e persa, gli ultimi italiani casi di cronaca nera più recenti. C'è sempre un errore alla base di tutto questo.
Ho vissuto nella favela della Rocinha e frequentato tutte le favelas di Rio de Janeiro. Sono stata sempre molto attenta e mi sono garantita protezione prima di tutto. Sono scampata a sparatorie e i colpi di fucile li ho visti passare sopra di me che correvo. La favela non è un Risiko, non è un gioco. Ma non lo è neanche Leblon, non lo è Ipanema, né Copacabana, che prolificano di ragazzini affamati di denaro. Bisogna, prima di affrontare un viaggio in Brasile, approntarsi una preparazione in sociologia, antropologia, psicologia, storia. Solo allora si potranno capire quelle che al turista medio sembrano le contraddizioni di un Paese, mentre a me sembrano solo elementi di coerenza. Sarebbe strano il contrario. Non si entra con una moto in una favela, regola numero uno. Salvo che non sia una moto della favela. Non si compra maconha (marijuana) nella favela, salvo che non si sia introdotti da un favelado di quella stessa favela. Non si passeggia allegramente in una favela con una macchina fotografica a lungo obiettivo, salvo che non si sia garantita protezione.
Il Morro dos Prazeres è una comunità colorata, ne danno conto le mie fotografie. Alzi gli occhi e vedi Cristo. Alcune case sono in vendita. L'atto di acquisto non è registrato nello Stato di Rio de Janeiro e non risulterà da nessuna parte, se non nel Registro della Favela. Smettetela di fare i gradassi: la favela non è un centro sociale. La favela è un luogo fatto di persone vere che soffrono fame e tubercolosi, che se è vero che non pagano la luce allo Stato perché hanno i gatos, i fili collegati in ogni punto dell'area che garantisce loro dell'autoconservazione, questo rientra nella sociologia del luogo. Cacciati dalla città, i poveracci si rifugiarono nei morros quando ancora la città non si era resa conto di quanto valessero quelle colline. Ora sono le più ambite dai grandi imprenditori, dali politici, dai ricchi. Il gap tra povertà e ricchezza è tra i più alti del mondo. Ogni singola comunità (favela) ha una vita a se stante, una storia a se stante, una genealogia a se stante. Sono attivi progetti e le comunità sono comunità di buoni. Non facciamoci influenzare dai media. Ma attenzione alla leggerezze.
Eccoli, i colori che ho visto nella collina dei piaceri, dove il pittore è Cristo: al link http://www.riomabrasil.com/morro-dos-prazeres/
(Romina Ciuffa)

venerdì 9 dicembre 2016
QUOTE NERE PER RIABILITARE L'UOMO NERO
Proporrei
delle «quote nere». La problematica dell’immigrazione, fuori dal
discorso politico, è qualcosa che ci riguarda. Siamo a tutti gli effetti
un Paese globalizzato, che non deve solamente fare i conti con il
terrorismo e la manovalanza, gli immigrati che rubano e gli immigrati
che rubano lavoro agli italiani. Dobbiamo riuscire anche noi a
divenire un Paese mulatto. Checché Salvini ne dica, il mondo è fatto di
diversità ed integrazione. Non possiamo azzerarci continuamente parlando
di extracomunitari che uccidono, spacciano, rapinano. Un anti-luogo
comune è quello che vede l’immigrato svolgere mansioni che l’italiano
non considererebbe. Perché, allora, non educare gli extracomunitari con
un programma di sostegno, richiamarli legalmente all’interno del nostro
Paese con borse di studio, fornir loro una formazione adeguata ed un
curriculum di rispetto perché possano prender parte alla vita del Paese?
I fiorentini, i genovesi, i milanesi, i romani, non hanno saputo far meglio. Perché non «obamizzare» anche l’Italia? Proprio oggi che in Occidente avanza la minaccia Trump-Salvini, sarebbe il caso di intervenire. Nessuna donna ha mai richiesto «quote rosa», bensì l’accettazione delle proprie competenze e la valutazione di intelligenze flessibili, multidimensionali, femminili. È stato loro assegnato il colore rosa come si assegna alle bambine e si pretende da queste, prima ancora che maturino una personalità propria, che si colorino di delicatezza e gonne. Nel corso della loro formazione hanno dimostrato parità quando non supremazia nelle posizioni rilevanti: è questa la modernità. Ora serve una politica per gli scafisti. Inutile bloccare gli accessi ed inutile dar modo ai media di coprire gli spazi vuoti con foto di barche affondate e bambini sanguinanti sulle spiagge di Lampedusa. Inutile bloccare la storia: essa si verifica. Ne è esempio l’Occidente più occidentale, quello americano, che ha dato mandato ad un afroamericano di governare per otto anni le sorti del Paese, e nulla si è potuto avverso l’integrazione. Lo stesso valga per la candidatura di Hillary Clinton: avrà pur vinto Donald, ma è innegabile quanto dalla caccia alle streghe sia stato fatto per trasformarle prima in fate, quindi in donne di comando.
Quote nere, ovvero la possibilità di assumere candidati provenienti dal fenomeno immigratorio e imparare dalle loro differenze, da prospettive che giungono da mondi lontani e possibili, sebbene poveri. Povertà non è sinonimo di terrorismo né di incompetenza, tutt’altro: dalla povertà nasce la forza più dirompente, in grado di superare gli ostacoli deteriori cui un miliardario come Lapo Elkann non è in grado di far fronte, riuscendo addirittura a simulare un rapimento per ottenere dalla famiglia una somma di (soli) 10 mila dollari. Questo dà ancor di più conto della necessità di introdurre nel sistema elementi nuovi, scindendoli dalle dinamiche della criminalità e della discriminazione, per creare opportunità di crescita nel Paese e al di fuori di esso.
L’Italia non deve nulla all’immigrazione, a nessun cittadino «ariano» deve richiedersi di risolvere i problemi dell’extracomunitario, ma può di certo servirsi di nuove idee e valorizzare le differenze proprio come è avvenuto nel processo che ha reso la donna più uomo e le ha conferito posizioni prima d’ora inimmaginabili. Un istituto di formazione «nera» potrebbe creare un esercito di buona condotta ed esperienza pronto a lavorare in un Paese come il nostro che, in ogni caso, si trova a dover integrare immigrati senza cultura, proprietari di un background doloroso che li rende sofferenti e, dunque, pericolosi. Salvo prova contraria. Perché, allora, non prendere atto del fatto che, a fronte di una fuga di cervelli dall’Italia, ve n’è una altrettanto vigorosa che conduce all’Italia stessa i cittadini di Paesi limitrofi? Perché non creare un’alleanza con l’Uomo nero, che tanto ha terrorizzato generazioni i bambini di ieri per il sol fatto di essere un uomo diverso?
Immagino una start up governata dall’Uomo nero, dal passato controverso e dalle origini guerrafondaie. Un uomo che, giunto in Italia, possa essere messo nella condizione di imparare ciò che il suo Paese non gli ha insegnato. Alfabetizzazione prima di tutto. Quindi scuola dell’obbligo e studi universitari, corsi di formazione e - un impegno - quello dell’accettazione dell’Altro, senza contestazione di credi ed orientamenti. A condizioni di reciprocità. Il problema non è quello del crocefisso in classe o dell’uso del burka: chi sceglie di entrare in un Paese ne segue le vicissitudini e vi si lega nel rispetto di una storia che non va mutata. Ma l’accoglienza dell’Uomo nero, affiancata da un’educazione civica e laica che lasci prevalere i valori sulle credenze e sulle prese di posizione, può cambiare il nostro mondo. Può cambiare finanche noi stessi.
Non è forse vero che l’italiano si lamenta in continuazione dei suoi governanti, delle istituzioni, del vicino di casa? Non appartiene allora, tale atteggiamento, ad un’abitudine conclamata, quella volta all’insoddisfazione e alla eteropercezione del pericolo e della responsabilità? E i governanti, le istituzioni, il vicino di casa, non sono forse, nella proporzione più plausibile, italiani, bianchi, dialettali? Cosa c’è di sbagliato, dunque, a fare uno sforzo quasi extraterrestre - ossia uno sforzo che, pur dovendo impiegare centinaia di anni per giungere a compimento, richieda invece pochi lustri, un’età quasi astrale in un pianeta dove il tempo corre diversamente - e accettare l’Uomo nero proprio come si accetta il «colpo di Governo» di un fiorentino? Cosa distingue un fiorentino da un siriano: la sicurezza ch’egli non compia un attentato? Perché: non lo ha forse, in un certo qual senso, compiuto?
E perché non cominciare dai bambini? I quali sono aperti ad ogni forma di società e di apprendimento. Disfano questo processo di legittimazione delle diversità i genitori che in un Paese straniero, accogliente, pretendono di mantenere abitudini e credi dei propri universi di provenienza. Come se un asiatico volesse trasferirsi in Groenlandia mantenendo i vestiti tailandesi: in poco tempo, morirebbe di freddo. Prendiamone atto. Un valdostano non potrebbe trasferirsi a Rio de Janeiro indossando il consueto pellicciotto. Perché ciò non dovrebbe valere per la religione? Perché la coesistenza di razze deve seguire il destino dell’utopia? Perché non ipotizzare una struttura in grado di fare della diversità un valore aggiunto? In uno spazio-tempo in cui, attraverso i social network, la parola «amicizia» è divenuta un contenitore vuoto, quando nello stesso istante con un click si partecipa ai funerali di Fidel Castro, alla vittoria di Donald Trump e alla morte di un’intera squadra di calcio brasiliana a seguito di un disastro aereo, possiamo veramente continuare a credere che l’Uomo nero sia così cattivo? (Romina Ciuffa)
giovedì 1 dicembre 2016
LGBT: CARA CIRINNÀ, MA CHI "SÌ" CREDE DI ESSERE?
Ciò che innanzitutto colpisce di Monica Cirinnà,
senatrice (per il momento) del Partito democratico, è il suo avvio
cattolico in una famiglia di valori conservatori, tanto da frequentare
una scuola di suore della Capitale. Suore che non sapevano che quella
Monica avrebbe poi condotto la battaglia per le coppie omosessuali che,
l’11 maggio 2016, sarebbe divenuta normativa attraverso il decreto legge
che prende il suo nome, intitolato “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”,
introducendo l’unione civile tra omosessuali
quale specifica formazione sociale e la disciplina sulla convivenza di fatto
sia gay che etero.
Già dai tempi delle suore la Cirinnà decise di trasferirsi al Liceo Classico "Tacito" di Roma, partecipando al movimento studentesco e, nel tempo, facendo proprie le istanze animaliste: dopo alcuni anni di collaborazione alla cattedra di Procedura Penale di Franco Cordero, è stata lei a fondare l'Arca, l'Associazione romana per la cura degli animali, "con l'obiettivo di prendersi cura delle colonie feline e dei gatti e di assistere i loro amici umani - a Roma detti gattari - in tutte le situazioni difficili", oltre ad aver combattuto per l'approvazione, poi avvenuta, di una legge che anche in Italia vietasse la soppressione di cani e gatti nei canili comunali (di questo periodo, e in veste di Verde, la nomina, ad opera del sindaco Francesco Rutelli, come consigliera delegata alle Politiche per i diritti degli animali e vicepresidente della Commissione Ambiente). Fin qui tutto bene. Tutto bene anche nella sua successiva nomina come presidente della Commissione delle Elette, legata ai problemi connessi ai diritti delle donne e alla valorizzazione della differenza di genere, e partecipando alla nascita della Casa Internazionale delle Donne, nel complesso monumentale del Buon Pastore di Trastevere a Roma. È suo il contributo per la trasformazione dello zoo di Roma in Bioparco, come quello per la creazione dell'oasi felina in luogo del vecchio canile di Porta Portese e per l'emanazione (reggente Walter Veltroni) del Regolamento capitolino per la tutela degli animali.
Già dai tempi delle suore la Cirinnà decise di trasferirsi al Liceo Classico "Tacito" di Roma, partecipando al movimento studentesco e, nel tempo, facendo proprie le istanze animaliste: dopo alcuni anni di collaborazione alla cattedra di Procedura Penale di Franco Cordero, è stata lei a fondare l'Arca, l'Associazione romana per la cura degli animali, "con l'obiettivo di prendersi cura delle colonie feline e dei gatti e di assistere i loro amici umani - a Roma detti gattari - in tutte le situazioni difficili", oltre ad aver combattuto per l'approvazione, poi avvenuta, di una legge che anche in Italia vietasse la soppressione di cani e gatti nei canili comunali (di questo periodo, e in veste di Verde, la nomina, ad opera del sindaco Francesco Rutelli, come consigliera delegata alle Politiche per i diritti degli animali e vicepresidente della Commissione Ambiente). Fin qui tutto bene. Tutto bene anche nella sua successiva nomina come presidente della Commissione delle Elette, legata ai problemi connessi ai diritti delle donne e alla valorizzazione della differenza di genere, e partecipando alla nascita della Casa Internazionale delle Donne, nel complesso monumentale del Buon Pastore di Trastevere a Roma. È suo il contributo per la trasformazione dello zoo di Roma in Bioparco, come quello per la creazione dell'oasi felina in luogo del vecchio canile di Porta Portese e per l'emanazione (reggente Walter Veltroni) del Regolamento capitolino per la tutela degli animali.
Icona gay, a questo punto. E se gli animali potessero parlare, probabilmente anche icona animale.
Il popolo LGBT ha bisogno di punti di riferimento, ed è indubbio che il
Partito democratico ha svolto, nella sua persona e - perché negarlo -
in quella del precedente sindaco capitolino Ignazio Marino,
nonché in altri sporadici personaggi, un lavoro ineccepibile, che ha
portato l'Italia quasi ai livelli europei. Ora è possibile per gli
omosessuali, nonché per i conviventi more uxorio, fare liste di "nozze", mutata mutandis
liste di "unioni civili", nei negozi vicini al Campidoglio: al centro
di Roma, insomma. E questo non è poco. Grati a quei "rivoluzionari"
della sinistra che hanno lottato per avvicinare l'Italia all'Europa e al
mondo anche dal punto di vista delle scelte sessuali e famigliari,
andando oltre una Costituzione dalla lettura cattolica. Perché, vorrei
ricordarlo, il nostro testo fondamentale all'art. 29 stabilisce, tra i
principii fondamentali, il seguente dettato:
- La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
- Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare
Specifico: non
v'è nessun riferimento alla religione. È riconosciuta una famiglia
fondata sul matrimonio. Il punto qui è dare al matrimonio una
definizione. Se in esso includiamo, infatti, la possibilità che esso si
svolga tra persone appartenenti allo stesso sesso, allora la norma
dell'art. 29 tutelerà anche questa tipologia matrimoniale e garantirà ai
coniugi (a quel punto, sostantivo neutro) eguaglianza morale e
giuridica. Il problema legato all'art. 29 Cost. è proprio quello del suo
collocamento all'interno di un sistema più vasto che definisce la
famiglia solo in un certo modo. Il merito della Cirinnà (leggasi:
di tutti coloro che hanno partecipato alla proposta, discussione,
emanazione del decreto portante il suo nome, ben lungi dall'essere una
battaglia personale della senatrice come l'uomo di strada è portato a
credere ma frutto di un'attività complessa e partecipata) è quello di
aver dato al concetto di famiglia un'accezione più amplia, al concetto di matrimonio una interpretazione moderna.
O
preferisco dire antica, se è vero che sin dai Greci, dai Latini, dai
nostri antenati più lontani, l'omosessualità era moderna, la vita
eterosessuale era concepita nel senso di una vita riproduttiva e non era
legata necessariamente al concetto di amore, giacché le coppie
matrimoniali erano formate dai genitori alla nascita dei pargoli ed a
questi imposte, e - è cosa nota - gli uomini erano tenuti a far pratica
sessuale con i fanciulli per potersi far trovare pronti ad una vita sessuale. Ce ne parlano Erodoto, Senofonte, Platone,
quanti altri, dei quali non possiamo solo prendere ciò che ci fa
comodo: le Storie del primo; le pratiche di guerra del secondo; l'amor
platonico, la giustizia, la teoria delle idee, la filosofia del terzo.
Non possiamo soprassedere alla allor comune pederastia di cui
essi ci rendono edotti (da non confondere con la "nostra" pedofilia, la
pederastia assecondava una relazione stabilita tra una persona adulta e
un adolescente al di fuori dell'ambito familiare, che prescindeva dal
desiderio sessuale nei confronti di un impubere: il sessuologo Erwin J.
Haeberle ne critica così l'uso "moderno, risultante da un
fraintendimento del termine originale e dall'ignoranza nei riguardi
delle sue più profonde implicazioni storiche"). Il ragazzo apprendeva
virtù che avrebbero fatto di lui un uomo adulto
durante un periodo di isolamento in cui avrebbe convissuto con un uomo,
nella cui compagnia era introdotto alle regole della vita
sociale: l'adulto sarebbe stato al tempo stesso maestro e amante.
Antichità.
Tornando alle nostre modernità, e senza entrare nel merito della discussione, la Costituzione non definisce il sesso dei coniugi.
Lo fa il Codice civile, ma esso è legge ordinaria, proprio come il
decreto Cirinnà di pari livello, con le conseguenze che ne derivano e
che saranno anche definite dalla giurisprudenza che produrremo (non
mancheranno giudizi dinnanzi alla Corte costituzionale).
Fin qui tutto bene. Il problema non è nel precipitare, ma nell'atterrare.
Io
capisco, e sono perfettamente consapevole, che l'impegno politico non è
discutibile. Senatrice del PD, renziana, Cirinnà non può non appoggiare
le scelte del suo Segretario. Il punto deteriore, a mio parere, è la strumentalizzazione.
In campagna referendaria, fortunatamente volta al termine, tutto è
concesso, ed è normale il suo appoggio al Sì. Ciò che mi permetto di non
condividere, e che di fatto non condivido, è l'aver fatto dei LBGT un esercito per la riforma costituzionale.
Lunghi post sui suoi canali di social network dando per scontato il
voto della "sua" comunità-esercito per un Sì, anche strumentalizzando il
"sì" matrimoniale in funzione della campagna renziana. Il motto "Basta
un sì"si affianca in via strumentale all'immagine di una coppia
omosessuale che ha potuto, grazie al Ddl Cirinnà, "dire sì": ma è un
"sì, lo voglio". Voglio sposare la persona che amo.
Non è la stessa cosa. Il
popolo LGBT deve poter votare sì o no formandosi una coscienza
personale che prescinda dalla possibilità, attualmente concessagli, di
fare pubblicazioni in Campidoglio. Non è la stessa cosa modificare
drasticamente la Costituzione e, intanto, formarsi una famiglia. Sono
due punti che vanno completamente scissi e ragionati in termini di
riflessione personale. Non si può votare Sì perché Vladimir Luxuria
voterà Sì, o perché la condottiera Cirinnà ha fatto proseliti. La legge
che ella ha contribuito ad emanare (rectius decreto legge) è un
atto di eguaglianza e di equità, l'applicazione pura e semplice del
secondo comma dell'art. 3 del nostro testo costituzionale che impone
alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che si frappongono al
pragmatismo e alla concretezza di un'eguaglianza formalmente canonizzata
nel primo comma (per questo i due dettati sono conosciuti come, il
primo, principio di uguaglianza formale, il secondo, principio di
uguaglianza sostanziale). In poche parole, un "atto dovuto" da un
politico che sente il mondo.
Questa
riforma non ha nulla a che vedere, direttamente o indirettamente, con
la popolazione LGBT. Fare seguaci ed attirare masse gay e transgender
verso il Sì renziano con la ridondanza del motto "Basta un Sì" impiegato per la legalizzazione delle coppie civili è una manovra politica di basso livello - sebbene
di alto impatto, se è vero che la maggior parte di essi voterà proprio
in senso positivo alla sostituzione costituzionale. Bisogna imparare a comprendere quando si è strumenti di un gioco più grande, più infido, più infimo, sottile, sbagliato. Negli
Stati Uniti è in questo modo che ha vinto Donald Trump: manovrando il
populismo, l'ignoranza, la necessità di essere rappresentati e di
appoggiare chi sembra essere più simile. Ancora: l'impiego dei social
network, l'appoggio dei media, l'importanza di chiamarsi Ernesto ed
essere sposato con Ernesto2. Sentirsi rappresentati non comporta la
condivisione sic et simpliciter delle idee del rappresentante, ci vuole riflessione reale: l'importanza di chiamarsi Onesto (è di Oscar Wilde stesso il doppio senso su "earnest", Ernesto ed onesto).
La modifica della Costituzione non si gioca sull'orientamento sessuale.
È umiliante vedere costruire, da parte del PD, truppe di omosessuali
pronti a combattere per la causa partitodemocratica, solo perché la
Cirinnà con la sua chioma bionda monta un cavallo bianco.
Questa
strumentalizzazione, cara Monica, la riporta a quel collegio di suore
lontano nel tempo, dal quale lei scappò per studiare l'umanesimo al
Tacito di Roma. Sa quando le suore usavano la religione per indicarle i
passi da seguire? Ricorda i sensi di colpa che le muovevano? Sa dirmi
quante volte si è chiesta, con fastidio, astio o almeno curiosità
morbosa, perché esse vestissero tutte uguali e lasciassero da parte ogni
istanza identitaria, ogni modalità di identificazione di se stesse
rispetto alle altre, per seguire Dio?
Monica,
non è quello che sta facendo ora con la comunità LGBT? Vuole davvero
strumentalizzare la religione dei diritti per rendere tutti i suoi
proseliti identici, persone che vogliono sposarsi pure loro, che
vogliono adottare figli pure loro, che vogliono farne pure loro, che
vogliono usare bagni giustificati sul gender, senza attribuire ai medesimi una taratura di uomini e donne intelligenti, in grado di
pensare, riflettere, scegliere a prescindere dal suo decreto legge;
vuole di fatto lei stessa - una "paladina" - renderli tutti
identificabili con un unico scopo: il suo? (Romina Ciuffa)
martedì 15 novembre 2016
DIPENDENZE AFFETTIVE: IO E LO STATO, UN AMOR NON CORRISPOSTO
Lo ammetto. Mi sveglio con una sana e robusta paura. Apro gli occhi tutte le mattine come trasformata in un grosso insetto, tardo a riconoscermi, a volte attendo qualche minuto prima di dare un'occhiata al mio riflesso proiettato, che è distante dalla mia introiezione. Si tratta di quel senso di alienazione e non appartenenza al luogo che mi ospita, che è mio, al letto da condividere, che è mio, e all'esistenza che mi attraversa, che è mia. Un senso di alienazione e di non appartenenza generato dal soprassalto al mondo che vivo, che non è mio. "E si mise all'opera per spostare, con una oscillazione sempre uniforme, il corpo in tutta la sua lunghezza fuori del letto. Lasciandosi cadere in questa maniera, il capo, che cadendo voleva tenere ben sollevato, doveva rimanere logicamente illeso. La schiena sembrava essere dura, e cadendo sul tappeto non si sarebbe forse danneggiata. La preoccupazione più grave era per lo schianto che sarebbe avvenuto (...)" (Franz Kafka, La metamorfosi). Il risveglio e l'incontro con l'inconscio notturno. Lo schianto occidentale più operativo nella metamorfosi quotidiana è lavoro-amore. E un teorema: quando si ha l'amore il lavoro passa in secondo piano; quando si ha il lavoro, metti da parte l'amore, arriverà. Dedicati totalmente al lavoro. Qualcosa tipo:
Quoto integralmente la madre di Phil Collins, non si aspetti l'amore. Nel frattempo la società ci dice: "Vattene!", e noi prendiamo esempio da Stoccolma fino al Nebraska, per dire: me ne vado (poi però restiamo). Non è una colpa, è il mondo che va avanti, che ci insegna che, come animali, dopo lo svezzamento dobbiamo renderci responsabili. Giusto (negli altri Paesi), sebbene perfettibile (nel nostro). Ma perché allora, quando ti svegli con la paura, pensi sempre a casa? Perché non vi sono punti di riferimento.
Vorrei in questa sede approfondire il rapporto lavoro-amore per dare conto della dipendenza affettiva che va accentuandosi non più come una intrinseca, leggera, essenziale dote dell'amore, bensì come disturbo psichiatrico tra le fila di giovani e adulti. Non più come un virtuosismo romantico, ma come un mea culpa che tormenta chi non crede all'amore libero. Una dipendenza affettiva che, nata sana, via via si è trasformata - metamorfosi kafkiana - in quello scarafaggio che sostituisce una mattina il giovane Gregor Samsa. La dipendenza affettiva così va prendendo qui e là le forme di un disturbo bipolare in bilico tra episodi maniacali e depressivi, un disturbo depressivo maggiore, una distimia, un disturbo ossessivo-compulsivo, un disturbo psicosomatico. Anche in comorbilità. Mi fermo a questi cinque, elencati con chiarezza dal DSM, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali maggiormente in uso tra psicologi e psichiatri, pur non essendo esaustivi. Siffatta metamorfizzazione del fenomeno amoroso in disturbo psichiatrico sottopelle è il frutto, innanzitutto, della nostra nuova società.
Il discorso è italiano. Il lavoro: carente. Quando presente, sottopagato. Quando pagato, a termine. Proprio lui, che dovrebbe essere "dipendente", non lo è. Quest'assenza di lavoro dipendente si trasforma nella presenza di amore dipendente. Primaria fonte non di guadagno bensì di insoddisfazioni e frustrazioni, il (non)lavoro è, in Italia, la panacea dei mali. Faccio riferimento ai giovani e agli adulti, pur sottolineando che i primi hanno una marcia in più potendo accedere a un numero maggiore e più variegato di incarichi e mansioni che un adulto non può né deve accettare (come si può chiedere ad un ricercatore ultraquarantenne di fare il cameriere in un bar?). Senza tacere il fattore "speranza", tradotto in termini politico-economici come "aspettativa di vita": il giovane ha più tempo davanti a sé ed una minore responsabilizzazione dettata dall'età, vuole viaggiare, intende e deve sperimentare, ha meno ambizioni specifiche in quanto più libero, non ha ancora investito gran parte della propria vita in un progetto unico. Sotto il profilo dell'amore, ha bisogno e curiosità di fare esperienze, tende a dimenticare facilmente una storia finita o a lasciarsi alle spalle ottime opportunità romantiche perché non le vive come tali, preso a guardare avanti. È abituato a un lavoro intercambiabile, sa che la laurea è un pezzo di carta disfunzionale, conosce i linguaggi di programmazione del computer e vive in chat. Ha un collo da giraffa e mangia solo le foglie più alte degli alberi. L'adulto è stanco, fisicamente e psicologicamente: assiste ai cambiamenti del corpo, ha già ascoltato troppi politici parlare, ha assistito alla franca ingiustizia dei licenziamenti, nella migliore delle ipotesi ha rifiutato la cocaina che gli è stata offerta, è solo. Il collo è quello dello struzzo, che nasconde sotto terra sebbene lo abbia ben lungo e abile.
Prendiamo l'orologio biologico, ingestibile strumento di cui ci ha dotati il nostro dna. Una donna trascorre la decade trentenaria sentendosi domandare: "A quando un figlio?", ne compie 40 e si autointerroga: "Dovrei farlo? Non sono pronta, ma dovrei farlo?", verso i 45 giunge a Barcellona e programma una inseminazione artificiale, quando non rinuncia alla maternità o non accetta altro compromesso. Tic tac. Gli uomini non sono messi meglio. Hanno indubbiamente più età per fare figli, nessun orologio biologico al polso, ma non credono nella filiarità e più frequentemente optano per la libertà. La maggior parte di essi si lascia lasciare dalla storica compagna ormai quarantenne che preme per una gravidanza. "Noi sessualmente eravamo affamati, i giovani d'oggi non lo sono più. Noi le portavamo a ballare", sento dire in un bar. Le coppie omosessuali sono le più favorite. Sebbene si debbano formare e mantenere unite, come tutte le altre. Ma per loro, libertà è fare un figlio, esattamente l'opposto della coppia eterosessuale: l'avvicinamento di un diritto mai prima riconosciuto lo rende favorito. Lo stesso valga per il matrimonio, ora possibile anche in Italia, che lo rende più appetibile alla coppia gay che non alla coppia classica.
Tic tac. La dipendenza affettiva si crea una volta che si afferri la paura di rimanere soli, e ciò solitamente avviene con il passaggio ad un'età più adulta. Non andremo a riprendere Freud, non andremo a cercare nel padre la causa di un vuoto affettivo o nella madre l'impossibilità a vivere rapporti autentici. Più semplicemente, in un discorso sociologico che colloca la persona all'interno di un mondo relazionale, la dipendenza affettiva si crea per l'assenza di sicurezze nell'attualità, di relazioni vere, complete, durature, stabili, protettive, non virtuali. Il mestiere più ricco è appannaggio dello psichiatra, lo psicoterapeuta perde alcuni colpi non potendo prescrivere farmaci che ad oggi sono un must. V'è necessità di cambiare presto le cose con un serotoninergico, ingollare ansiolitici, usare un toccasana. Chi è contrario ai farmaci si iscrive a yoga, meditazione, prende ayahuasca, mangia bio, usa Fiori di Bach. Non è così che devono andare le cose. È l'alba dei morti viventi: si cammina per le strade senza una meta affettiva effettiva, vera, zombie che soffrono dipendenze affettive e svolgono lavori non consoni. L'impossibilità di reagire ad una relazione finita, o terminare una storia, buttarsi a capofitto nel lavoro perché assente o non satisfattorio, accentua la problematicità del fenomeno. L'amore non è corrisposto. Non è corrisposto da parte dello Stato, che non ci ama.
La società di internet ha peggiorato il quadro in maniera esponenziale, conferendo a tutti le basi ideali per divenire ossessivo-compulsivi da manuale: il controllo via Facebook dei profili, la scansione precisa dei "mi piace" e, prima fra tutti, la "spunta blu", ossia la "visualizzazione" su WhatsApp, macchina infernale creata dal Diavolo, che dà conto del fatto che la persona destinataria di un messaggio lo abbia letto, i tempi trascorsi prima che si sia risposto. L'online è la causa primaria della malattia affettiva di questo millennio. "Gettati a capofitto sul lavoro". Ma prima, per liberarti dalle dipendenze affettive, sciogliti dall'incontinenza virtuale, slaccia i nodi nautici del porto per navigare in modo etimologico, con una navis, la nave latina, e non in modo virtuale, con un computer. Impara ad attendere, come un capitano di mare, e che l'unica spunta blu sia un'onda del mare. Non sottovalutarti. Non ascoltare nemmeno chi dice: "Se non ti ama non ti merita", perché dall'altro lato come da questo c'è chi ha paura e necessita di tempo. L'amore libero non esiste, fantascienza del nuovo millennio che ha generato mostri di indipendenza pur di sopperire all'assenza di sicurezze, i mostri del "non ho bisogno di nessuno". L'oggetto dell'amore tornerà, se lo si ama ancora; è lo Stato che non tornerà.
Si tratta del sesto e settimo degli stadi di sviluppo psicosociale elaborati dallo psicanalista Erik Erikson. Nel sesto stadio, l'età giovanile, v'è una contrapposizione tra intimità ed isolamento: un corretto sviluppo tende verso la prima. Il giovane avverte la necessità di una relazione intima appagante (passione, amore, progetto di vita, amicizia); ove non riesca a trovare l'intimità eriksoniana, vivrà un forte senso di isolamento e solitudine. Questo complicherà il passaggio al settimo stadio, quello dell'età adulta, in cui la contrapposizione è tra i due poli generatività-stagnazione: la crisi che la persona è chiamata a superare in questa difficile fase
riguarda la procreazione, non intesa solo in senso
letterale bensì ampliata alla
necessità intrinsecamente umana di lasciare qualcosa alle generazioni successive (con un mestiere quale scrittore, insegnante, ricercatore, artista et altera).
La procreazione consiste nella realizzazione personale a fini futuristici, sia essa di tipo lavorativo sia essa di tipo filiare, sempre nel senso dell'offrire un contributo che favorirà le nuove generazioni, per avere una continuità individuale postuma che dia senso all'attuale e una trascendentalità alla vita. L'insuccesso in questo compito di sviluppo porterà a sperimentare un senso di stagnazione, immobilità e inutilità riferita alla propria
esistenza. Ed ecco, l'adulto è depresso.
Procreazione dunque nel senso di generazione. Lavoro e amore sono strettamente collegati e il problema della dipendenza affettiva non può essere scisso dal dramma esistenziale del proprio contributo professionale, artistico, lavorativo. Per superare uno stato di dipendenza affettiva, l'ossessione verso un oggetto d'amore, è necessario sviluppare generatività in altri settori. Ciò non è facile se il problema è già divenuto disturbo, sia esso mania, depressione, ossessione, somatoformazione. Generatività in Italia è impossibile. Nel nuovo adulto l'orologio biologico non batte solo o per forza il tempo della genitorialità, ma anche quello della pro-creatività, il senso di sentirsi validamente esistenti, la percezione della propria funzionalità nella società, la fiducia nelle istituzioni e nelle persone, la tensione verso un futuro sereno, il sentimento di protezione verso se stessi e verso l'altro, uno stipendio. Una volta venuti a mancare tali tasselli - perché il primo a non amare l'uomo è lo Stato, il secondo a non amarlo è se stesso - si passerà all'ottavo stadio di psicosviluppo, che vede contrapporsi i due poli integrità dell'io-disperazione: pericoloso momento di un bilancio al quale anche la Corte dei Conti dovrebbe partecipare, essendo, nella mia teoria, lo Stato chiamato in causa direttamente nella crisi affettiva dilagante, nel senso dell'amor non corrisposto.
Come si può spostare un oggetto d'amore desiderato su altro se, amando l'Italia, lei non ci corrisponde? La nostra dipendenza affettiva nei suoi riguardi supera la normalità e diviene patologia, che viene spostata sul legame in campo strettamente sentimentale; spostamento che pregiudica la formazione di legami stabili, duraturi, sani, verso i quali si ha una proiezione dell'instabilità introiettata. Tale dipendenza scatena due vie: la necessità di fuga o, all'estremo opposto, la soluzione di figliare per dare un senso alla vita e creare un legame affettivo stabile in quanto di sangue. Proprio per questo quando si ha paura si tende a tornare a casa, perché è lì che sono i legami sanguinei. Come in amore l'idealizzazione partecipa di questo processo. Noi non amiamo questa Italia, bensì l'Italia di Michelangelo, Bernini, l'Italia dei borghi, l'odore dei camini accesi, l'agriturismo, Asiago, Mondello, vera e propria idealizzazione simile a quella che operiamo pensando alla persona che amiamo non più corrisposti, focalizzandoci nostalgicamente sui momenti di gloria di quella relazione. La storia con il nostro Paese è finita, ma possiamo recuperare la nostra forza per amare qualcun altro. Tanto che da quando è stato promulgato il divorzio breve, è aumentato il numero di matrimoni civili, a fini pensionistici e per tutelare i figli: possiamo divorziare con il nostro Paese? Possiamo smettere di amarlo non corrisposti?
Quando si sveglia da insetto, Gregor se ne rende conto eppure il primo pensiero del nuovo scarafaggio va comunque alla sua vita, a quanto essa sia priva di autentiche gioie. Non pensa a ciò che è diventato, un gigantesco, orrido mostro, ma all'inutilità di se stesso, l'inutilità di Gregor uomo. Quindi, guarda l'orologio a muro e si accorge di aver dormito troppo, che ha fretta. Tic tac. (Romina Ciuffa)
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venerdì 11 novembre 2016
IL REFERENDUM VE LO SPIEGO IO
Io non dico se bisogna votare sì o no. Io direi di votare no. Ho le mie ragioni, che la ragione conosce. Non si tratta, come si mormora, di togliere legittimazione al Governo Renzi, al Pd, alla solita Maria Elena Boschi: ciò è secondario. Non si può votare sì o no per spodestare, o per passioni: la funzionalità prima di tutto. Per me si tratta della Costituzione, che sin dal nome fa riferimento a qualcosa che è costitutivo. Un uomo ha una costituzione sana, robusta, ma anche fragile: una costituzione che lo contraddistingue nel proprio dna. Poco si può fare contro il fattore costitutivo, se non seguirlo per non avvertire frustrazione, e migliorare gli aspetti che sono migliorabili. La genetica familiare vince sulla scienza, per quanto possiamo già clonare capretti un uomo di sana e robusta costituzione può andare in palestra, colui che invece ha problemi al cuore no. Quest'ultimo potrà, invece, fare altri esercizi, pur mantenendo attenzione e controllo, e dovrà fumare poco o niente.
Inizio in questo modo per dire che noi siamo figli del nostro dna costitutivo, e siamo tutti figli della nostra Costituzione, promulgata nel 1947, il 22 dicembre, sotto il segno del Capricorno (cuspide Sagittario): segno di terra, grande diplomatico, responsabile, anche materialista, crede in un potere più alto (sono i principi fondamentali della Premessa), a volte snob, ambizioso, infinitamente paziente, non impulsivo, mai di fretta, la sua costituzione fisica tende a irrobustirsi quando invecchia. Non poteva che essere del Capricorno una Costituzione destinata a supplire agli errori della guerra, tanto che già il decreto legge luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944 fu emanato dal
governo Bonomi a pochi giorni di distanza dalla liberazione di Roma,
stabilendo che alla fine della guerra sarebbe stata eletta a suffragio
universale, diretto e segreto, un'Assemblea costituente per scegliere
la forma dello Stato e dare al Paese un nuovo testo costituzionale. Lo stesso che avrebbe partorito sin dall'art. 1 una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ed una sovranità appartenente al popolo, perché fosse esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione. Questa riforma sarebbe del Sagittario: incapace di rimanere fermi, pronto a partire per una nuova avventura, a volte inquieto, in cerca di qualcosa che sfugge, con una freccia puntata verso l'alto, vero e proprio collegamento tra passato e futuro. Ma come?
Vorrei
prima specificare ai non addetti ai lavori che tutto trae origine dall'art. 138 della nostra
Costituzione, che prevede il procedimento per l'approvazione di leggi di revisione costituzionale e di altre leggi costituzionali, ossia per modificare la Costituzione. Ma lo stesso articolo 138 è
stato oggetto di molta riflessione dottrinale: e se cambiassimo l'art.
138? Pura dittatura. Darò una risposta veloce, per sintetizzare anni di discussioni: non sono modificabili, mai, (e da persona sana di mente), i principi fondamentali e tutti quegli aspetti della Costituzione che provengano da più in alto, ossia dall'essenza umana e democratica. Perché altrimenti potrebbe essere modificata anche la norma dell'art. 139 secondo cui "La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale": semplicemente modificando prima l'art. 139 con la procedura dell'art. 138, quindi modificando l'art. 1 che stabilisce la forma repubblicana.
Ora, facciamo finta che la Costituzione sia un libro. La riforma proposta dall'attuale Governo attraverso referendum, come richiede l'art. 138 della Costituzione, consiste in un vero e proprio editing. Immaginiamo che il poeta invii la nuova raccolta al proprio editore per la pubblicazione, e che il ragazzetto addetto ai manoscritti della casa editrice in questione vi dia una letta e lo corregga di punto in bianco, trasformandolo in prosa e rinviandolo al poeta. Immaginiamo che sia inviato, ancora, un noir avente ad oggetto un complesso complotto internazionale, e che la ragazzetta addetta all'editing muti le pagine finali del testo e dalla nuova prosa emerga che l'assassino sia il maggiordomo, di sherlockiana memoria: prevedibile, scontato, inopportuno. Non si mette mano al testo di uno scrittore. Non si trasforma la poesia in prosa.
E la Costituzione è pura poesia. Si può discutere sull'attualità di alcune sue norme, ma la verità è che ciascuna di esse è affidata alla interpretazione della giurisprudenza costituzionale, che può apportare le modifiche necessarie, sentenziando affinché si rendano al passo coi tempi e siano lette nel modo ad uopo.
Trasformare una poesia del premio Nobel polacco Wisława Szymborska in un libro di Fabio Volo è da assassini. Questo sta facendo Matteo (così lo chiamano certi giornali, per nome proprio). Prendo le distanze: questo sta facendo il premier Renzi, distrugge un'opera d'arte. La distrugge letteralmente. Non farò discorsi di sinistra né di destra. Obiettivamente, non è normale sostituire l'art. 70 classico, "La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere", con "La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati». No, non si può fare. Non si può prendere una delle norme più democratiche e poetiche del nostro Paese e trasformarla in un libro di Fabio Volo o di Ligabue. Inoltre, non può essere stato il maggiordomo. Dev'essere stato Renzi.
Questa modifica è stata "spiegata" al popolino con la stringa "Superamento del bicameralismo perfettamente paritario" (traduco io: supremazia di una Camera sull'altra, o su quel poco che ne rimane), e il Fabio Volo fiorentino ha dichiarato a suo favore: “Il procedimento legislativo diventa più snello, si ferma l’abuso della decretazione d’urgenza cui neanche noi possiamo dichiararci immuni, senza che si tocchi il sistema di pesi e di contrappesi. Si interviene sul Titolo V rendendo lo Stato più responsabile, si elimina il bicameralismo perfetto che era considerato da tutte le forze politiche un tabù da abbattere”. Rabbrividisco. La procedura risulterebbe molto più complessa, innanzitutto. Ma c'è di più: le molte navette che sono fatte tra una Camera e l'altra possono essere risolte senza una riforma costituzionale, bensì attraverso l'uso della prassi. Come nel question time, il tempo nel quale i ministri danno in Parlamento risposte immediate alle interrogazioni dei parlamentari, non potendosi dilungare oltre misura. Una nuova prassi che dovrebbe essere sostenuta dalla volontà di ridurre i tempi di legiferazione per dare al cittadino ciò che merita: tempismo e adeguatezza.
Ma soprattutto rabbrividisco nel sentire il premier-maggiordomo intenzionato a mettere un freno, attraverso questa norma fallace, alla decretazione d'urgenza: la decretazione d'urgenza è, a tutti gli effetti, un abuso del Governo. È esattamente lì che l'Esecutivo viola la Costituzione da anni: in particolare, abusando dell'art. 77 viola l'art. 70. Mi spiego per i non addetti ai lavori. L'art. 77 attribuisce all'Esecutivo un potere eccezionale (non nel senso di grande, bensì nel senso che esso costituisce un'eccezione alla regola). Mentre l'art. 70 attribuisce il potere legislativo alle Camere collettivamente, l'art. 77 ribadisce la regola: il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. In questo primo comma fissa la norma abilitativa dei decreti legislativi. Quindi, nel secondo comma apre uno spiraglio alla decretazione d'urgenza, consapevole che la macchina parlamentare potrebbe - in casi eccezionali - risultare lenta, e stabilisce che, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo possa adottare, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge. Deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. Al comma successivo, i decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Voilà: fatta la legge (costituzionale), trovato l'inganno (costituzionale). Renzi & Co. vogliono farci credere che voler mettere un freno alla decretazione d'urgenza sia una buona cosa, quando però, a ben vedere, la decretazione d'urgenza è un abuso del Governo. Pertanto, semplicemente smetta di abusarne, e usi lo strumento dell'art. 77 in modo dignitoso. Tanto che sarebbero ridotti i tempi del procedimento legislativo in caso di DDL in materia di bilancio e in quelli in cui è prevista la clausola di supremazia, e non solo: il Governo può chiedere la votazione di altri DDL entro e non oltre 70 giorni (escludendo solo alcuni tipi di legge, come le leggi elettorali e di ratifica dei trattati). Che Dio ci aiuti: il Governo può battere il tempo al Parlamento, rappresentante del popolo? Ma esso è potere esecutivo, dovrebbe eseguire, non comandarsela.
Inoltre la riforma ridetermina le norme riguardanti l’iniziativa legislativa modificando l'attuale art. 71 Cost.: la dà solo alla Camera dei Deputati, ed alza il quorum per le leggi di iniziativa popolare a ben 150.000 firme (ma per favorire la partecipazione dei cittadini alla politica verrà introdotto il referendum popolare propositivo...). Per proporre un referendum, invece, serviranno 800 mila firme, contro le 500 mila attuali. Praticamente la riforma renderà impossibile l'iniziativa popolare, violando così gli stessi principi fondamentali della Costituzione.
Per non parlare della stringa referendaria: "Riduzione del numero dei senatori e taglio delle spese". Non c'è bisogno di ridurre il numero dei parlamentari, è sufficiente, più che sufficiente, tagliare gli stipendi di tutti i nostri rappresentanti nonché dell'Esecutivo. Più che semplice: banale. Ma no: si vuole ridurre i senatori da 335 a 100, di cui 5 saranno scelti dal Presidente della Repubblica e 5 dalle Regioni “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Gli altri membri del nuovo Senato delle Autonomie non saranno eletti dai cittadini, bensì scelti dalle Regioni e dalle Città Metropolitane tra i sindaci (in numero di 21) e i consiglieri regionali (74). La legge costituzionale Boschi prevede per i senatori l’azzeramento delle indennità per la loro carica (circa 10.385 euro mensili), ma essi sono già pagati per le funzioni che svolgono presso gli Enti Locali. Potrebbe restare il beneficio del rimborso per le spese di soggiorno a Roma. Il punto è che il punto non è questo. Il bicameralismo in Italia è necessario alla democrazia, è necessario che il nostro potere legislativo resti un giano bifronte che possa confrontarsi. L'eliminazione del Senato non può essere la soluzione per supplire all'eccesso di danarizzazione delle cariche pubbliche. Il "mi candido" italiano equivale al "mi arricchisco". Questo deve cambiare. Molti sindaci dei paesi sono pagati a rimborso spese, alcune cariche pubbliche vengono svolte quasi in forma di volontariato. La rappresentanza di un Paese, poi, dovrebbe essere data a laureati, con curricula molto suggestivi e altrettanto veritieri, a coloro che abbiano dimostrato o che possano dimostrare un'intelligenza attiva e un attivismo intelligente. In tal caso la meritocrazia premierebbe gli eletti, ma comunque fino ad un certo punto: esigere stipendi esagerati a carico del pubblico è sinonimo di un disinteresse verso il proprio Paese che per ciò solo andrebbe condannato. Ma come spiegare che anche Virginia Raggi, attuale sindaco di Roma, prima caldeggiava il taglio degli stipendi, poi come primi atti da prima cittadina ne ha aumentato qualcuno?
Non proseguirò nella disamina degli altri articoli, almeno per ora. Solo un veloce accenno alla norma che aggiungerebbe, all'art. 55, la chiosa: "Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza". Norma che si evince già dall'art. 3 della Costituzione, comma 1 (uguaglianza formale), e comma 2 (uguaglianza sostanziale). Un doppione di cui le donne non hanno bisogno, ma forse Renzi sì per conquistare l'elettorato femminile (oltreché la Boschi).
Io voterei NO a questa riforma perché:
- dà potere legislativo all'Esecutivo e ne priva il Legislativo;
- è mosso da un ragazzo di appena 41 anni che pasticcia sul compito in classe...
- ...e che non è stato nominato, lui per primo, nel rispetto delle norme costituzionali, dunque si trova al potere senza legittimazione, violando ciò che ora vuole modificare (in altri tempi si sarebbe parlato di dittatura);
- alla dittatura si può giungere, per l'appunto, attraverso l'approvazione delle norme oggetto di questo referendum, che > noto bene > è confermativo, dunque non richiede maggioranza per essere approvato: detto anche costituzionale o sospensivo, esso prescinde dal quorum, saranno conteggiati i voti validamente espressi indipendentemente se abbia partecipato o meno alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto, pertanto l'astensionismo non va praticato in questo caso;
- è mosso da un ministro per le Riforme costituzionali (Maria Elena Boschi) che è già stato al centro di polemiche e vicende che avrebbero dovuto delegittimarlo e, pertanto, è viziato anche qui;
- l'Italicum non va, genericamente in quanto già oggetto di molte remissioni dinnanzi alla Corte costituzionale;
- i tagli alle spese dovrebbero partire direttamente dai rappresentanti, la Casta. Non c'è uguaglianza se nel privato si ricorre a parcellari che danno un limite massimo d'onorari e codici deontologici, nel codice civile è dato l'istituto della rescissione per eliminare retroattivamente gli effetti di un contratto se vi è una sproporzione fra le prestazioni contrapposte che consegue all'abuso delle condizioni di debolezza, mentre nel pubblico - e proprio tra chi ci rappresenta - c'è un sinallagma violato in vari punti;
- non si può trasformare una poesia in un libro di Fabio Volo o Ligabue.
Leggete la Costituzione, da inizio a fine. Poi andate a votare. Allora saprete chiaramente che nel testo del 1947 (e modifiche al Titolo V), c'è già tutto ciò cui aneliamo. Non c'è bisogno di metter mano alla nostra Costituzione, come alla poesia di un premio Nobel, Wisława Szymborska, che per prima scriveva: «Sono, ma non devo esserlo, una figlia del secolo». (Romina Ciuffa)
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